Atlante di Torino


 



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piazza Palazzo di Città S. Gallo S.Silvestro S.Geltrude S.Pancrazio verso la zona - H - verso la zona - D - verso la zona - L - verso la zona - Q - S.Rocco S.Simone S.Francesco SMargherita S.Germano S.Anna Trinità S.Avventore S-Lazzaro


I numeri dei titolini corrispondono a quelli dei rispettivi isolati sulla mappa di riferimento qui in alto
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55 - Pedaggio
Nel 1781 il pagamento veniva effettuato in piazza delle Erbe, nel cantone di San Gallo nel caffè di Chiaffredo Molineri.

image-1image-1image-156-58 - La Volta Rossa
In via Palazzo di Città 19 la casa della Volta Rossa, prima sede del Cottolengo (1828 con 4 letti). Nel 1831 il Comune, per la peste, lo fa chiudere. L’arco della Volta Rossa univa le due isole (56 e 58) con un passaggio sotto cui erano soliti collocarsi i mercanti di Chieri. Sull’origine del nome ci sono due versioni: o perchè appartenne al conte Rosso, oppure perchè essendo in mattoni era rossa.
Venne demolita nel 1722.

 

 

image-1image-1Via Palazzo di Città
Appartiene alla parte più antica di Torino. Un tempo questa contrada era chiamata dei Panierai (in piemontese «dii Cavagné»). Durante il pe­riodo di occupazione francese fu detta rue des Vanniers.
L'accesso da piazza Castello era però impedito da una costruzione e solo nel 1619, per ordine di Carlo Emanuele I, fu aperto lo sbocco sulla piazza.
Tra la piazza del Corpus Domini, un tempo detta del Mercato del Grano, e la piazza delle Erbe (attuale piazza Palazzo di Città), la contrada era nuovamente chiusa ed il passaggio avveniva sotto un grande arco detto della Volta Rossa, per essere costruito in mattoni non intonacati.
image-1La Volta Rossa univa le isole di San Silvestro (56) e San Pancrazio (58) collegando p. delle Erbe con uno slargo dove c’era il mercato dell’olio e dove venivano esaminati i funghi (primi ‘800).
Nel 1722 si ordinò la demolizione della Volta Rossa che impediva la vista del Palazzo Comunale e rendeva difficoltoso il transito. Nel 1780 si rico­struirono le case sulle quali si appoggiava l'arco, ma il cortile, che tuttora esiste, ne conservò il nome. In questa contrada nel 1836 si fece il primo esperimento a Torino di lastricatura detta « alla milanese », con le rotaie in pietra.
In via Palazzo di Città, tra un portico e l’altro sono ancora visibili piccole tettoie inclinate verso il basso, dette “paraguardie”. La loro funzione era di riparare le guardie che si disponevano ai lati della strada durante le cerimonie. Negli anni successivi fecero da riparo ai mercanti che portavano in piazza i loro banchetti di verdure ed erbe aromatiche.

image-1image-156 - Corpus Domini
Qui sorgeva il tempietto romano dedicato a Diana cacciatrice.
Nella prima cappella a destra è conservato il quadro della Vergine delle Grazie, davanti alla quale era solito raccogliersi S. Giuseppe Cottolengo.
Nel 1525 venne costruita la cappella del Corpus Domini (un'edicola marmorea a forma di portico).
Durante la peste del 1598 la città fa voto di costruire un nuovo edificio, la chiesa attuale, che inizia nel 1609 e viene completata nel 1671

Nella piazza al 17, nacque Gaspero Barbera (1818-1880) che poi fondò, a Firenze, la casa editrice omonima.

 

 

 

 

image-1image-156 - Il miracolo
Durante la guerra del 1453 la città di Exilles venne saccheggiata dai francesi. Anche in chiesa vennero rubati gli oggetti di valore, tra cui il Santissimo.
I ladri arrivarono a Torino il 6 giugno 1453, giorno del Corpus Domini, con l’intenzione di vendere la refurtiva. Gli oggetti trafugati erano caricati su un mulo, che si bloccò davanti alla chiesa di San Silvestro. Incurante delle percosse non si muoveva, il carico si sbilanciò e cadde a terra, tranne l’ostia consacrata che rimase sospesa in aria.
La notizia fece scalpore, e il vescovo Lodovico di Rosignano accorse in processione: alzato al Cielo un calice, l’ostia vi si depositò e venne portata trionfalmente in duomo.
Nell’armadio delle “quattro chiavi” al Comune è custodita la documentazione relativa al miracolo, stesa dal notaio Tommaso Valle, con i nomi dei dieci testimoni che firmarono il primo atto autentico del miracolo nonché quello del sacerdote Bartolomeo Coccolo che corse a chiamare il vescovo.

56 - Vedi le immagini della chiesa del Corpus Domini

 

 

 

 

 

 

 

 

56 - Il delitto dei macellai
L’1 giugno 1856 nel vicolo del Corpus Domini (il budello che si apre alla destra della chiesa omonima), detto anche del Cavoretto, al terzo piano di casa Ostorero, tre individui armati uccisero il macellaio Beltramo ferendo gravemente il suo socio Pietro Maina.
Vengono arrestati due garzoni del postribolo di via dei Pellicciai (poi Conte Verde) Luigi Gervasio e Giacinto Enrico, ma dopo pochi mesi di detenzione i due, nonostante i gravissimi indizi, vengono scagionati.

image-156 - Spirito Santo
La chiesa era dedicata a S.Silvestro, costruita sulle rovine dell’antico tempio romano di Diana, nel 1584 aveva a sud un piccolo cimitero (nei pressi del quale avvenne il Miracolo). Ricostruita nel XVII secolo assunse il nome attuale.
Era sede della confraternita e Ospizio dei Catecumeni: qui fu ospitato Jean Jacques Rousseau (12/4/1728), il 21 abiurò il calvinismo e il 23 viene battezzato.
L’edificio danneggiato dalle bombe nel 1943 fu restaurato nel 1950.












image-156 - L'aiuto commesso diventa autore drammatico
Nell'ultimo tratto dei portici di destra di Piazza Palazzo di Città nell'800 si trovavano negozi di vestiti a buon prezzo. Nel disegno di Massimo Quaglino i manichini sulla destra appartengono al negozio in cui iniziò la carriera come aiuto commesso (e di cui poi divenne proprietario) l'autore drammatico Mario Leoni (Giacomo Albertini).







 

 



57 - L’arbitro internazionale
Federico Sclopis (1798-1878) presidente del Senato e dell’Accademia dlle Scienze nel 1871 fu nominato presidente del Collegio Internazionale di Ginevra per la soluzione della controversia anglo-americana detta Arbitrato dell’Alabama. Nacque, visse e morì nella casa sopra i portici che uniscono il Municipio all’isola di S.Geltrude.

 

 

 



58 – I primi film
Michele Sala, nella sua birreria di via Garibaldi 10, dal 1896 propose proiezioni cinematografiche. In seguito le trasferì nel cortile di via Roma 3, creando il cinema Splendor.

image-158 - Palazzo col piercing
Sullo spigolo del palazzo settecentesco di via Palazzo di Città 19, c’è un “piercing”, si tratta di un’installazione dell’architetto Corrado Levi in collaborazione con Cliostraat, gruppo di artisti e architetti nato nel 1991 con l’obiettivo di sperimentare nel campo architettonico e artistico. L’opera, il cui vero nome è «Baci Urbani», venne realizzata nel 1996 nel contesto di un'installazione temporanea. Tuttavia, ancora oggi, rimane al suo posto ed è possibile vederlo con le gocce di gocce di sangue, rosso da un lato e blu dall’altro.

 

 

 

 

image-159 – San Rocco
La chiesa era già attiva nel 1208, con il nome di S. Gregorio. Aveva davanti a sé una piccola piazza porticata (dove anticamente si adunavano i capi delle famiglie).
Della vecchia costruzione è rimasta in una nicchia a destra, una Madonna in pietra in stile gotico, datata 1375, assisa su un trono. L’erezione dell’edificio attuale risale al 1667.
La confraternita di San Rocco, tra l’altro, si incaricava di seppellire gli appestati. Nel 1638 ottenne da Maria Cristina una nomina di morte o galera, la facoltà cioè di liberare dalla pena un reo a patto che non avesse commesso delitti di lesa maestà, di omicidio premeditato o di falsa moneta. Era un privilegio consueto che favoriva le elemosine dei criminali che speravano poi di usufruirne.

Vedi l'approfondimento sulla chiesa di San Rocco

 

59 - Fossili
Sugli scalini d'ingresso scolpiti nel "marmo di Verona", alcune ammoniti fossili.

59 - Panramica interattiva a 360* della chiesa di San Rocco

 

 

 

59 - Casa di Silvio Pellico
Al n. 20 di v. Barbaroux la casa di Silvio Pellico al suo rientro dagli anni di prigionia allo Spielberg. In seguito si trasferirà a palazzo Barolo, per svolgere le sue funzioni di bibliotecario, fino alla morte.

60 – San Simone
Nella stessa isola c’erano due chiesette contigue che nel 1742 vengono adibite a usi profani. Fino al 1729 c’era la chiesa di S. Simone (1° documentazione risale al 1047) con un portico affiancato da un cimitero e un orto, trasformata poi in osteria. Dalla contrada di Dora Grossa (Garibaldi) si accedeva alla piazzetta di S. Simone (al centro dell’isola omonima) chiusa in fondo dalla facciata della chiesa, sulla parte sinistra i palazzi Costa d’Arignano e Pollone, quindi la “speciaria” (farmacia) Pateris. Sul fianco destro i palazzi Cinzano della Chiesa di Roddi e il famoso forno del “panataro” Antonio Brunero che per primo creò i grissini.
Nel XIX secolo c’era l’osteria-albergo San Simone

60 - Affondato a Lissa
In via Mercanti 5 (2° piano) c’era la casa di Pier Carlo Boggio (1827-1866), deputato, patriota, giornalista e professore di Diritto Costituzionale, morì affondando sulla fregata Re d’Italia, dove serviva come volontario, durante la battaglia di Lissa.

 

 

 



image-160 - Grissini per il Re
Vittorio Amedeo II alla nascita, nel 1675, era molto gracile. A soli nove anni, morto il padre Carlo Emanuele, diventa Duca di Savoia, sotto la reggenza della madre Maria Giovanna Battista di Nemours. Malato e in pericolo di vita, si espose la Sindone per invocarne la guarigione.
Il medico di corte, il dottor Teobaldo Pecchio di Lanzo diagnosticò una intossicazione alimentare dovuta al consumo di pane inquinato.
Allora il pane era poco cotto, preparato senza precauzioni igieniche. Anche il medico, in gioventù, aveva sofferto di analoghi disturbi intestinali, guariti grazie all’intuito e alla creatività della madre che lo aveva cibato con pane “ben lievitato, ben cotto, con poca mollica e molto croccante”.
Così il dottore ne parlò al panettiere di corte, Antonio Brunero. La medicina studiata per il giovane duca consisteva in una dieta con pane friabile e ben digeribile, Brunero si mise al lavoro e creò il grissino.

Bastò separare dall’impasto delle lunghe liste di pasta lievitata, larghe circa mezzo pollice e lunghe due spanne per poi stirarle con “il solo movimento delle mani e la trazione delle braccia”. Da queste listarelle, così stirate, poste successivamente a cottura, Brunero aveva ottenuto dei “bastoni di pane ben cotti, anzi bis-cotti, con assenza quasi totale di acqua, friabili, aromatici, con poca o nulla mollica e tanta crosta dorata”.
Fino ad allora il pane tradizionale era denominato “Ghersa” che significa filone di pane, divenne così gherssin e, in italiano, grissino, per sottolineare la forma sottile e allungata.
Vittorio Amedeo II, primo re Sabaudo nel 1713, grazie a questa dieta guarì diventando uno dei sovrani più significativi della sua dinastia.

image-1La novità chiamata dai nobili “panbiscotto”, era realizzata per la casa reale con “puro fioretto di farina, ben purgato del reprimo” e per il volgo con “due terzi di frumento e un terzo di segala, talvolta con l’aggiunta di una manciata di farina di mais”. A questi ingredienti va aggiunta l’acqua, che asciugandosi durante la cottura, lascia la caratteristica crosta bruna.
Il grissino col tempo ha acquistato caratteristiche precise: la lunghezza deve essere pari all’apertura delle braccia dell’artigiano che lo lavora.

Le Corti europee vollero provare il “pain long du Piemont” o "les petits baton de Turin", la Francia tentò persino di imitarlo, facendo arrivare a Parigi due artigiani torinesi. Ma l’acqua della Senna e l’aria di Parigi non erano come l’acqua del Po e l’aria di Torino e i risultati furono modesti. Persino Napoleone, estimatore dei grissini torinesi che sembra fossero di sollievo per la sua ulcera, si rassegnò ad affidarsi a regolari corrieri imperiali che rifornivano la sua mensa servendosi a Torino.
Anche Carlo Felice apprezzava di più la musica al teatro Regio quando nel suo palco sgranocchiava i suoi grissini conditi con l’aggiunta di polpa di trota.
La principessa Felicita si fece ritrarre dal pittore di corte con un grissino in mano e da quel momento divenne, forse suo malgrado, la principessa del grissino.


60 – Pinin Pacot
Al n. 11 di via S.Francesco d’Assisi abitò uno dei più raffinati poeti dialettali piemontesi, Giuseppe Pacotto, detto Pinin Pacot (1864-1969).

 

 

 

 



 


image-161 – Casa Reda
Costruita nel 1902, in via San Francesco d’Assisi 15, in stile Liberty, su progetto dell'architetto Reycand.


 


image-161 – S. Francesco d’Assisi
Prima del 1200 esisteva una piccola chiesa dedicata a S. Vittore, nel 1209 venne donata ai Francescani e ricostruita in forme gotiche. L’ edificio medievale aveva di fronte a sé una piccola piazza.
Nel 1608 la chiesa venne completamente ricostruita e nel 1761 subì la trasformazione definitiva.
Ai primi dell’800 fu istituito il Convitto Ecclesiastico di S.Francesco che avrà tra i suoi allievi Giuseppe Cafasso, Giovanni Bosco e Giuseppe Allamano.
Nella chiesa è conservato il confessionale dove si confessava Don Bosco che, il 6 giugno 1841 nell’altare dell’Angelo Custode, nell’ultima navata a sinistra, celebrò la sua prima messa assistito da Giuseppe Cafasso.
Nella sacrestia, l’8 dicembre 1841, avvenne lo storico incontro col giovane Bartolomeo Garelli, giorno in cui si fa risalire la creazione dei Salesiani.

Angelo Brofferio
Nella casa al n. 13 di via Genova (ora S. Francesco d'Assisi) abitò per oltre un quarto di secolo Angelo Brofferio (1802-1866) scrittore popolarissimo ed oratore insigne.

Vedi le foto della chiesa di San Francesco d'Assisi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

image-1image-1image-161 - Gli stuccatori Luganesi
Molti luganesi lavorarono nelle costruzioni cittadine come architetti (Michelangelo Garove) ma soprattutto come stuccatori al punto di fondare una corporazione, detta appunto dei Luganesi che aveva sede a S.Francesco.
L’avvio, a partire dal 1563, di numerosi cantieri per il rinnovamento edilizio e urbano della città richiamò maestranze specializzate nella costruzione e nella decorazione in marmo, stucco e pittura di chiese e palazzi.
Questi artisti e artigiani provenivano in particolare dai territori di Lugano ed erano organizzati in piccole imprese familiari che si spostavano stagionalmente. Nel 1636 venne costruita la cappella dedicata a sant’Anna nella chiesa di San Francesco d’Assisi (seconda cappella della navata sinistra), già sede della loro omonima corporazione di mestiere.

All'epoca infatti le varie compagnie di arti e mestieri avevano ognuna un santo patrono con cappelle nelle varie chiese della città; in Duomo: i Pittori e Scultori, i Chirurghi, i Calzolai, gli Orefici, i Panificatori riuniti nella Compagnia di S. Luca; nel complesso dei Gesuiti in via Dora Grossa (attuale via Garibaldi): i Banchieri, i Negozianti, i Mercanti, i Nobili e gli Avvocati; in S. Francesco: i Sarti, i Serraglieri, i Maestri da Muro, gli Scalpellini e gli Stuccatori luganesi, gli Speziali e i Notai.

Burattinai rivali
In via S.Francesco d’Assisi c’erano due teatri di burattini in lotta tra loro: il San Rocco e il Martiniano. Quando il primo entrò in crisi i fratelli Lippi, proprietari dell’altro, ne pagarono i debiti. Quando poco più tardi il San Rocco dovette chiudere (1868) i Lippi rilevarono la figura di Gianduia trasferendola al teatro d’Angennes che da quel momento ne prese il nome.

Il Santo degli impiccati
Giuseppe Cafasso (1811-1860) definito la perla del clero italiano, entrato come allievo nel Convitto di S.Francesco, vi rimase come insegnante, poi come direttore spirituale ed infine come rettore. Fu guida e amico di Don Bosco e lo indirizzò ad aiutare i ragazzi poveri. Si prodigò in aiuto dei carcerati e delle loro famiglie. Nel 1838 accompagnò al patibolo il suo primo condannato, Domenico Becchio, detto il Dragone, membro di una banda che aveva seminato il terrore in provincia.  Fu il primo dei 68 giustiziati , tra cui il generale Ramorino, che confortò nell’ultimo viaggio.

 

 

 

 


Il fondatore dei Salesiani
Giovanni Bosco (1815-1888) consacrato sacerdote nel 1841, incominciò a radunare i ragazzi la domenica, in posti diversi, per farli giocare ed istruire nel Catechismo finché, dopo cinque anni difficili, riuscì a stabilirsi nel rione periferico di Valdocco aprendo il suo primo Oratorio.
Nell’Autunno 1844 inizia la “migrazione” dell’Oratorio in diversi luoghi della città: presso l’Opera della Marchesa Barolo, nel cimitero di san Pietro in Vincoli, ai Molini di città, in casa Moretta, in un prato dei fratelli Filippi, ma ovunque i ragazzi erano mal sopportati per il loro chiasso.

Nel 1843 inizia la costruzione della chiesa dedicata a San Francesco di Sales, in via Dei Mille 25, che verrà terminata e consacrata nel 1850.
Nel Settembre 1845 incontra un ragazzetto di 8 anni, orfano di padre: Michelino Rua. Diventerà il suo braccio destro e suo successore.
Il 12 aprile 1846 l’Oratorio si trasferisce sotto una tettoia affittata da Francesco Pinardi, in Valdocco. Nel Dicembre 1847 apre nei pressi di Porta Nuova un secondo Oratorio dedicato a San Luigi.
Firma i primi contratti di apprendistato per i suoi ragazzi che vanno a lavorare in città, anticipando l’azione sindacale a difesa dei giovani apprendisti.


Sostenitore dell’arcivescovo Fransoni, si battè contro i Savoia e il governo per tutelare i privilegi ecclesiastici. I suoi funesti sogni premonitori seminarono il panico nella famiglia reale
Il 26 gennaio 1854 Don Bosco propone a quattro giovani (Rua, Cagliero, Rocchietti, Artiglia) la fondazione dei Salesiani: si tratta di fare una promessa di impegnarsi “nella carità verso il prossimo”. Il 29 ottobre 1854 entra all’Oratorio Domenico Savio, il “ragazzo santo“.
Il 25 marzo 1855 Michele Rua fa voto di povertà, castità e obbedienza nelle mani di don Bosco, è il primo Salesiano.
Nel 1866 Don Bosco fa opera di mediazione tra Santa Sede e Governo italiano per il ritorno alle loro diocesi di 45 vescovi “esiliati” e per l’elezione di nuovi vescovi.
L’11 novembre 1875 iniziano le Missioni Salesiane: guidati da don Giovanni Cagliero partono per l’America del Sud i primi dieci missionarl.
Il 1 Aprile 1934, Pio XI, lo proclamò Santo.

Il fondatore delle Missioni della Consolata
Beato Giuseppe Allamano (1851-1926), nipote di san Giuseppe Cafasso, frequenta il ginnasio a Valdocco a 22 anni, allievo di Don Bosco, è ordinato sacerdote, a 29 è rettore della Consolata .
Nel 1901 fonda l’Istituto dei Missionari della Consolata. L’8 maggio 1902 partono per il Kenya i primi quattro missionari.
Nel 1910 crea le Missionarie della Consolata. La sua salma è conservata nella Casa Madre dei Missionari della Consolata, attualmente in corso Ferrucci 14.

 

 

 

 

 

61 – Nasce l’Unione Industriale
Via Monte di Pietà 26 fu la prima sede dell’Unione idustriale fondata il 19 luglio 1906. Qui il 5 maggio 1910 nacque anche la Confiindustria che, nel 1919, venne trasferita a Roma

image-1image-1image-1La Diagonale
Via Pietro Micca fu aperta nel 1885, voluta dal Sindaco Ernesto Bertone di Sambuy e progettata da Carlo Ceppi sull’esempio dei “grandes traveaux” di Napoleone III a Parigi per creare una nuova capitale, con assi viari che convergono sui centri del potere (p. Castello).


La nuova direttrice aveva anche lo scopo di permettere alle truppe acquartierate nella caserma di via Cernaia, di arrivare più celermente in piazza Castello.
Serviva inoltre un collegamento alla nuova stazione della ferrovia per Novara (Porta Susa) attraverso via Cernaia ed era necessario risolvere i problemi igienici dei vecchi complessi abitativi della zona.
Per la prima volta gli architetti non si concentraro tanto sulle facciate, quanto sugli angoli che sono la novità di questa via, anticipando così il Liberty.
Vennero demolite la chiesa e il teatro di S. Martiniano, mentre la chiesa di S.Tommaso venne ridotta.

image-1Il progettista di via Pietro Micca
Carlo Ceppi ingegnere idraulico e architetto (1829-1921) tra le sue opere:
1865: stazione di Porta Nuova, con Alessandro Mazzucchetti
1898: fontana dei 12 mesi al Valentino, in occasione dell’Esposizione del 1898.
1884: pal. Ceriana Maineri (circolo della Stampa) in corso Stati Uniti 27.
1900: pal. Priotti (cinema Ambrosio), corso Vittorio Emanuele 52.

 

 

 



Contrada del Camelotto
Il tratto di via San Tommaso che va da via Garibaldi a via Pietro Micca, nell’arco del tempo ha cambiato varie denominazioni: contrada del Camelotto (il Camelot era un panno leggero tessuto con lana di cammello o di capra); qui c’era un mercato del pesce salato, arance e frutta secca. Il nome poi cambiò in contrada degli Ebrei, degli Argentieri, degli Orefici e rue des Orfévres durante l’occupazione francese.


image-162 - Casa dei Romagnano
In via Mercanti 9, uno dei pochi esempi di palazzi medievali rimasti, proprietà di una delle famiglie più importanti dell’epoca. Nel cortile i resti di quello che doveva essere il chiostro.
Nel 1870 era detta anche casa del mago: vi abitava l’alchimista Varis Clapier “il cinese”, autore di varie profezie nefaste che gli costarono la simpatia della gente.

62 - Una famiglia molto potente
I Romagnano furono una famiglia potentissima; uno dei loro componenti, il vescovo Ludovico fu protagonista del Miracolo del Corpus Domini.
Il Cibrario parlando delle case presso la chiesa di S. Francesco accenna alla casa dei marchesi di Romagnano e dice che "dovevano essere assai onorevoli queste case nel 1608 poiché vi fu segnato il trattato di matrimonio dell'infanta donna Margherita col principe di Mantova".
Alcuni mattoni decorati con lo stemma (una pigna) ed il motto (EN VN) dei Romagnano, ritrovati durante i restauri e attualmente murati nella facciata meridionale della casa, avvalorano l'ipotesi della proprietà dell'edificio alla nobile famiglia.
Su questo lato della costruzione il Brayda ha voluto lasciare scoperti alcuni tratti della muratura a ciottoli disposti "a spina di pesce", tipica del Medioevo.

I miracoli di via dei Mercanti
Verso la fine dell’800 la Casa dei Romagnano divenne meta di pellegrinaggio. Il motivo è raccontato in un testo conservato nella Biblioteca Reale intitolato "La storia e i miracoli della Madonna di via Mercanti" che riporta la storia di ben sei prodigi:
"Chi possiede questa Madonna è una povera vecchia di anni 79 circa, già moglie di un parrucchiere che aveva bottega vicino a San Rocco; trovandosi egli vicino a morte lasciò la bottega al garzone raccomandandogli la moglie e facendosi promettere dal medesimo che passerebbe alla moglie lire 25 mensili; ma, sparito il marito dopo qualche tempo il possessore del negozio non retribuì più la mesata alla meschina, e la lasciò nella miseria e ammalata; essa però ebbe sempre fiducia nell'effigie di una Madonna che possedeva, e non si stancava mai di pregare quell'immagine. Una notte questa Madonna le apparve in sogno: domani ti leverai da letto, perchè non sarai più ammalata, ed al resto ci penserò io. Difatti appena giorno, ricordandosi del sogno e della comparsa della Augusta Regina dei Cieli, si levò e uscì di casa come se non fosse mai stata indisposta, ed abboccatasi col suo confessore ed altre nobili e pie persone raccontando il sogno, da quel giorno cominciò a scomparire la miseria. La fama di questo miracolo si sparse tra le persone divote religiose ed aventi fiducia nei miracoli della Madonna, e così cominciarono a presentar doni, gioie ed argenti a questa immagine che ad uno faceva guarire un braccio, ad un altro una gamba, a questi la mano, ad altri malattie dichiarate incurabili da dottori e da scienziati dell'arte.
Quest'immagine della Madonna ora si trova attorniata da angeli di argento massiccio, rischiarata da due grandi lampade, pure in argento, continuamente accese, e la povera vedova del parrucchiere vive, con domestico e serva, in un appartamento nella più grande agiatezza".

Il quadro di questa Madonna è ora conservato nella Chiesa di San Rocco.

62 – L’impero del caffè
In via San Tommaso 10 la prima drogheria di Luigi Lavazza, dalla quale partì per costruire il suo impero del caffè.
Vedi l'approfondimento e le immagini sulla Lavazza

62 - La casa degli spettri in via Guardinfanti
Nel 1798, al secondo piano di via Guardinfanti 7 (ora via Barbaroux), un uomo geloso uccise la giovane moglie con due coltellate, poi si sparò.
Ben presto la casa iniziò a godere di cattiva fama: nessun inquilino volle più occupare quell'appartamento dal quale - secondo quando si vociferava - ogni notte si sentivano violente discussioni, urla femminili e lo scoppio di un'arma da fuoco.
Per la gente l'edificio divenne "la casa degli spettri", dalla quale tutti si tenevano lontani. Come spesso avviene la vicenda assunse i contorni della leggenda. Si narra, infatti, che vent'anni dopo, nel maggio del 1818, il giovane Antonio Garone, fuori dalla sua bottega di legatore, vedesse una signora bellissima, vestita con abiti passati di moda, passeggiare sotto la pioggia a capo scoperto.
La donna camminando entrò proprio nella casa degli spettri. Salito dietro di lei al secondo piano, nell'appartamento, il giovane assistette alla ripetizione dell'omicidio-suicidio avvenuto vent'anni prima.
Sconvolto, domandò alla donna, che giaceva agonizzante sul pavimento, se poteva fare qualcosa per aiutarla e lei gli rispose: «Mio marito e io siamo intrappolati qui dalla mancanza di pietà: ci giudicarono e nessuno pregò per le nostre anime: puoi farlo tu?».
Commosso, Antonio fece celebrare messe e recitare preghiere per i due infelici, affittò anche l'appartamento, nel quale poco alla volta tornò la pace.

image-163 - Casa Fiorio
In stile Liberty, costruito su disegno di Giuseppe Velati Bellini nel 1902.

 

 

 

 

 

 




 

63 – Angelo Brofferio
Al n.13 di via S. Francesco d’Assisi abitava Angelo Brofferio (1802-1866), avvocato, giornalista e poeta, protagonista del Risorgimento in Piemonte. Vi si trasferì da via del Fieno 3 (Botero). Difese senza successo il generale Ramorino dopo la sconfitta di Novara.

 

 

 

 


 

 

 

image-163 - Guerin Sportivo
Nello scantinato di via San Francesco d'Assisi 18, dove ora c'è un bar, si trovava una delle prime redazioni del "Guerin Sportivo".

 

 


image-1image-164 – L’autore di Cuore
Edmondo De Amicis (1846-1908) partecipò alla battaglia di Custoza come ufficiale, poi fu giornalista e scrittore. Nel 1886 l’editore Treves fece uscire il libro Cuore, che ebbe subito grande successo. In pochi mesi si superarono le quaranta edizioni, con traduzioni in decine di lingue. Nel 1896 aderì al socialismo. La sua ultima abitazione fu in via Pietro Micca n. 10, precedentemente aveva abitato in via San Francesco d’Assisi, con la madre, e in contrada San Martino, vicino a piazza Statuto, dove scrisse “La carrozza per tutti”, un libro che descrive la città e la sua gente, visti dai tram a cavalli. I suoi ultimi anni furono rattristati dalla morte della madre a cui era molto legato e dagli attacchi della moglie Teresa Boassi, che culminarono con il suicidio del figlio ventiduenne Furio, che si sparò al Valentino nel 1898, disperato a causa dell’insostenibile situazione familiare. Proprio alla vita scolastica dei figli Furio e Ugo lo scrittore si era ispirato per scrivere Cuore.

 

 

64 - Il ministro della sinistra
Urbano Rattazzi (1808 - 1873) deputato per 11 legislature sui banchi della sinistra. Fu ministro dell’Industria, di grazia e Giustizia (1855) e dell’Interno (1858). Abitava in contrada dei Mercanti 15 p. 1°, poi in piazza Vittorio 17, 2° p. e poi al n. 8.

 

 

 

 


image-1Piazza delle Erbe
Nel 400 comunicava con la piazzetta del Corpus Domini attraverso l’arco della Volta Rossa, un passaggio nell’antico Palazzo che apparteneva a Amedeo VII, demolito nel 1722.
Fino al 1596 era il luogo favorito dai “cerlettani”, saltimbanchi e ciarlatani, quando furono costretti a sloggiare in piazza Castello nella zona che verrà poi chiamata Portici della Fiera.
Prima della sua ricostruzione, avvenuta tra il 1756 e il 1758 ad opera di Benedetto Alfieri, la piazza aveva un’ampiezza dimezzata rispetto all’attuale e ospitava, nel XIV secolo, il mercato degli ortaggi e quello del grano, essendo collegata con la piazza di S. Silvestro o del Grano (ora piazza Corpus Domini) e con la piazza di S. Benigno (cortile del Burro), ora ridimensionata a cortile all’interno del Palazzo Civico. Completava l’insieme la piazzetta di S. Gregorio, dotata di portici, presso la Torre Civica in contrada di Dora Grossa.

Fino al XVIII secolo era composta di 3 slarghi ognuno dei quali ospitava un mercato: Piazzetta del Pesce: (verso la chiesa di S.Gregorio, ora S.Rocco), andava oltre via Dora Grossa, dove c’era l’antica osteria “Griotta”, piazza delle Erbe vera e propria, piazzetta del burro e del formaggio. La zona dei portici era denominata “dei Tollari”.
Al centro della piazza, dove ora sorge il monumento a Amedeo VI, c’era un pozzo. Per diverso tempo qui si effettuarono le esecuzioni. Durante l’assedio del 1706 il barone di San Remiglio di Pallavicino saputo che uno dei soldati del suo battaglione delle guardie aveva disertato, sapendo che era di Chieri, uscì di nascosto dalla città con un gruppo dei suoi, andò a Chieri per cercarlo, lo trovò in un’osteria, eludendo i francesi lo ricondusse in città dove venne impiccato in piazza delle Erbe. Nello stesso periodo qui venne giustiziato un altro soldato colpevole di sciacallaggio.
A causa del mercato la piazza venne ribattezzata “l mercà d’ij busiard”. Il mercato nel settembre del 1835 venne definitivamente trasferito a porta Palazzo.

Piazza Palazzo di Città
Vedi la panoramica interattiva a 360° della piazza Palazzo di Città

Il patibolo
Sul patibolo al centro della piazza terribili le pene per gli untori, coloro che si pensava propagassero la peste: il 5 maggio 1600 vengono squartati con le tenaglie infuocate quattro sospetti, altri due vengono bruciati.

Disertore impiccato
Durante l’assedio del 1706 il barone di San Remigio venuto a conoscenza che uno dei soldati del suo battaglione delle Guardie aveva disertato, riparando a Chieri, ordinò a un drappello dei suoi di forzare il blocco francese, per riportare in città il fuggitivo.
Così fecero, lo arrestarono in un’osteria e lo riportarono a Torino per impiccarlo subito in piazza delle Erbe.

La Berlina
Il 20/7/1816 vengono esposti alla berlina, in piazza delle Erbe, Lodovico Massara, Michele Testa e Domenico Osella condannati a 3 mesi di carcere per aver fatto incetta di merce contro i decreti per combattere la grave carestia dovuta alle guerre degli anni precedenti.

L’inganno dei furé
A fine 800 la specialità del caffè Barone, all’angolo tra via Doragrossa (Garibaldi) e contrada dei pellicciai (via IV Marzo) erano i furé, grossi biscotti di sfoglia finissima, spalmati di zucchero fuso e caramellato. Costavano 5 centesimi ma a porta Palazzo si trovavano, a 1 centesimo, quelli preparati il giorno prima. Fece scalpore il trucco attuato per lungo tempo da un impiegato che lavorava in Comune. Prima del lavoro passava da porta Palazzo e comprava 5 furè a 1 centesimo. Arrivato in ufficio ordinava al bar un bicerin (15 centesimi) e 6 furè freschi (quelli da 5 centesimi). Sostituiva 5 biscotti freschi con i 5 del giorno prima e li mandava indietro, così ogni mattina pagava 25 centesimi anzichè 40.

Il cassiere-chirurgo
Nel 1840 fece scalpore il caso di Valeriano Giuliano, cassiere dell’ufficio Insinuazione del Municipio che, come secondo lavoro, praticava la chirurgia, con tanto di biglietto da visita e una discreta clientela, tra cui la marchesa Camerana. Venne arrestato, dopo aver mandato al Creatore un bottegaio di piazza delle Erbe, denunciato dal professor Riberi cui aveva sottratto il paziente.

image-1Il conte Verde
In occasione dell’inaugurazione del monumento dedicato a Amedeo VI di Savoia detto il Conte Verde (1334-1383) nel maggio del 1853 ci fu il 1° esperimento di illuminazione pubblica con energia elettrica.
Amedeo VI a nove anni fece il voto di digiunare al venerdì e sabato e di non mangiar carne e pesce al mercoledì, lo mantenne fino ai 45 anni. Tutti i venerdì santi lavava i piedi a 12 poveri. Ma amava moltissimo anche il gioco d’azzardo e le donne. Sempre senza soldi, chiedeva prestiti anche ai suoi servi. Aveva una grande passione per la caccia e per i tornei. Alla sua corte non mancavano mai menestrelli, giocolieri e giullari.
Brillante cavaliere e diplomatico temibile: a soli 20 anni riconquista il castello di Domolieu, nel Faucigny, che si era ribellato. I sopravvissuti vennero legati uno all’altro e trascinati, come monito nei borghi vicini.
In un’altra occasione, al castello di Aigle, nel 1357, tutti gli sconfitti furono uccisi.

Quando si recò in oriente aveva 32 anni; lo accompagnò un suo figlio illegittimo, Antonio, che ne aveva 17, concepito quindi a soli 15 anni.
Compilò gli Statuti dei Savoia, nel 1362, e fondò la Compagnia del Collare costituita da 15 cavalieri, i suoi compagni d’armi durante i tornei, che oltre all’abito verde portavano un collare d’argento dorato con il motto «FERT», chiuso da un anello con tre lacci d’amore a doppio intreccio.

Partecipò al primo torneo giovanissimo, successivamente si vestì sempre di verde e adottò il colore come simbolo.
S’innamorò di Giovanna di Borgogna e suo padre, che non aveva nessuna intenzione d’imparentarsi coi Savoia, la fece rinchiudere in convento per ostacolarne il matrimonio. Dieci anni dopo le alleanze politiche cambiarono e Amedeo sposò Bona di Borgogna, sorella giovane di Giovanna.

La sua impresa più famosa fu la crociata bandita dal Papa savoiardo Clemente VII nel 1365. Il Conte Verde conquistò alcuni castelli sul mar Nero, prese Gallipoli e liberò, dietro cospicuo compenso in monete d’oro, il Basileus di Bisanzio, caduto in mani nemiche. Morì di peste a Santo Stefano presso Castropignano (Campobasso) il 1° Marzo 1383, durante una spedizione dove era accorso con 1000 lance per sostenere i diritti di Luigi D’Angiò, sul Regno di Napoli.

I due che litigano
Lo scultore ottantenne Pelagio Palagi realizzò il monumen­to al Conte Verde (Amedeo VI) nel 1853.
L'opera inizialmente non piacque e molti la paragonarono a un «fermacarte» e alcuni, con sottile malizia subalpina, ancora oggi la indicano ai bimbi come il monumento «ai doj ch'a ruso»" i due che litigano". Osser­vando meglio, però, si nota l'estremo dettaglio, come i sofisticati caratteri dello scudo e delle armature saracene con la finissima trama della cotta a maglia.
Il getto difficilissimo riuscì perfettamente nella fonderia Colla di corso San Maurizio 63.

image-1I biscotti scatenano la rivolta
Da più fonti si rac­conta un curioso episodio che pare attizzasse definitivamente la terribile rivolta dell'agosto 1917 riproponendo l'atmosfera parigina dell’89, con la famosa battuta di Maria Antonietta:
una lussuosa automobile, proveniente da via Milano, si trovò improvvisamente incuneata nella folla e impossibilitata a proseguire. Di qui proteste da chi vi era sopra e richiesta di spiegazioni.
Pare che dall'auto­ mobile si sia esclamato: «Tanto chiasso per del pane? Ma se non c'è pane si mangino biscotti!»
Questa frase, vera o no che fosse, pronunciata o meno, fu come la scintilla che dà fuoco alle polveri. Dalla folla partirono grida: «Allora mangeremo i biscotti».
Il primo negozio di pasticceria che si trovò vicino, il Viola in via Milano, in un attimo fu invaso dalla folla furente e saccheggiato completamente. Un camion, arrivato in quel momento, carico di scatole di bi­scotti, fu preso d'assalito. Dalla folla partirono grida: «Questa volta i biscotti li mangiamo anche noi, non solo i signori!» «Biscotti adesso, non più pane nero».

74 - SS.Trinità
Prima del XVII secolo denominata chiesa di S. Agnese (1° attestazione 1103), costruita sulle rovine di un tempio dedicato a Giunone, in via Garibaldi all’angolo con via XX Settembre. Il Progetto fu del Vitozzi (1606) che vi é seppellito, mentre il restauro è di Filippo Juvarra (1718).
Ospitava la Confraternita della SS. Trinità e l’Ospedale dei Pellegrini (1598) che andavano (o venivano) da Roma, Gerusalemme o S.Giacomo di Galizia.

74 - Finestra Medievale
Sul palazzo d’angolo tra le vie Porta Palatina e Palazzo di Città, al primo piano, è visibile una porzione di una imponente finestra gotica con arco a sesto acuto ed una delicata decorazione in cotto, unico resto degli edifici che definivano il perimetro della piazza medievale.

Incrocio romano
L’incrocio tra le vie Garibaldi e Porta Palatina, in epoca romana era l’intersezione tra il Decumanus Maximus e il Cardo Maximus, i due assi viari principali della città romana.
Nel mese di ottobre 1995 ne è stato portato alla luce un breve tratto, piuttosto ben corservato, in via Porta Palatina angolo via Cappel Verde (di fronte alla chiesa di S. Spirito), a circa due metri di profondità.
Il confronto tra via Garibaldi, rettificata nel 700 e riportata alle primitive dimensioni e regolarità del decumano, e via Porta Palatina, dal tracciato rimasto sostanzialmente invariato dall’epoca medievale a oggi, mostra come durante quest’ultimo periodo le spaziose e rettilinee strade romane avessero subito drastiche riduzioni di volume e significative obliquazioni di percorso.
Nel corso del Medioevo il Cardo Maximus assume il nome di Via Quintana, o anche di Strata Regalis.

Strade e fogne romane
Il Decumanus e il Cardo massimi, le strade principali della città romana, avevano larghezza di circa 12 metri, compresi i marciapiedi.
La pavimentazione era in gneiss della Val Susa in blocchi poligonali, lisciati superficialmente e appuntiti verso il terreno, per permettere una migliore adesione.
Al di sotto di tutte le strade correvano le fogne, leggermente inclinate per permettere il deflusso delle acque: avevano preminenza i collettori dei decumani, in quanto aventi un'inclinazione più favorevole. La maggior parte dei collettori fognari dei cardines si gettavano in quelli dei decumani, con le debite eccezioni (come il fognolo della Consolata, che sboccava all'esterno delle mura settentrionali).

75 – Addio Giovinezza
In via Garibaldi 9bis nacque Nino Oxilia (1889-1917), autore di “Giovinezza”, inno dei laureati di legge del 1909, poi del fascismo, e di “Addio Giovinezza” la rivista che celebra l’epopea degli studenti e delle sartine.
Esponente della bohème torinese del primo Novecento, fu delicato poeta crepuscolare, sceneggiatore e regista di 8 films, morì in combattimento nella prima Guerra Mondiale.

 

 

 

 

 

75 - Nasce il modellismo
Nel 1879 nacque il modellismo commerciale con la ditta Amati (arte del traforo) che ai primi del 900 aprì il suo negozio in ia Garibaldi 9, poi trasferito in via Madama Cristina e poi in via Piacenza 3 dove è ancora attivo.

image-1image-1image-176 – Venezia a Torino
Il palazzo Bellia, del 1898, neoclassicheggiante, in via Pietro Micca 8, qui per la prima volta si usò il cemento armato in città. Il disegno di Carlo Ceppi (prima immagine) evidenzia come l’architetto si sia chiaramente ispirato a Venezia.

76 - Il grande editore
Al numero 8 di via Pietro Micca abitò l’editore Giulio Einaudi (1912 – 1999) figlio di Luigi, il secondo presidente della Repubblica Italiana.
Frequentò il Liceo classico Massimo d'Azeglio a Torino, dove fu allievo di Augusto Monti. Fece quindi parte del gruppo di ex-allievi del liceo d'Azeglio, fra i cui figuravano Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila, Fernanda Pivano, Vittorio Foa, Giulio Carlo Argan, Ludovico Geymonat, Franco Antonicelli e altri che crearono un polo culturale fondamentale per la cultura italiana.
Il 15 novembre 1933, appena ventunenne, fondò la casa editrice cui diede il suo nome, con sede a Torino al terzo piano di via Arcivescovado 7, nello stesso palazzo che era stato sede del settimanale L'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci.
Dopo 64 anni di lavoro come editore, Giulio Einaudi andò in pensione il 4 settembre 1997 all'età di 85 anni. Morì il 5 aprile 1999 all'età di ottantasette anni. Suo figlio Ludovico (1955) è un noto pianista e compositore.

77 – San Tommaso
Già esistente nel XIV secolo, la chiesa di S. Tommaso nel 1447 venne ricostruita. All’antica chiesa, probabilmente a tre navate e di minuscole dimensioni, erano annessi un chiostro e un convento. Alla fine del XVI secolo viene deliberata una nuova ricostruzione ad opera del Vitozzi.
Nel 1896, con il piano di risanamento della città, venne decurtata di 8 metri (ridotta da croce latina a croce greca) e rimaneggiata ad opera del Ceppi che ne troncò una navata per l’apertura di via Pietro Micca.

77 - Il protettore dei pasticceri
Nella chiesa di S. Tommaso c'è un altare dedicato a San Pasquale Baylon da cui: Sambaylon - sambaglione - zabaglione, protettore dei pasticcieri.
Nelle vicinanze c’era un vecchio anfiteatro romano smantellato nel sec. XVI dove si disputavano gli spettacoli dei gladiatori (fuori porta Marmorea).
Sino ai primi del ‘600 nell’area antistante c’era un mercato di cereali.

Vedi le foto della chiesa di San Tommaso

 

Vedi l'approfondimento e le immagini sulla tradizione della pasticceria torinese

 

 

 

 

 

 

77 - L'esplosione della polveriera
Il 20 agosto 1698 un fulmine causa l'esplosione della polveriera della Cittadella provocando un terribile incendio. La la chiesa di San Tommaso venne quasi distrutta e dovette essere parzialmente ricostruita.

image-1Contrada degli Argentieri
Contrada degli Argentieri (via San Tommaso) nel sei-settecento ospitava buona parte dei gioiellieri che spesso operavano anche come prestasoldi.

 

 



Il ministro rivoluzionario
Agostino Depretis ( 1813 –1887) discepolo di Mazzini e affiliato alla Giovane Italia, prese parte attiva ai moti insurrezionali. Eletto deputato nel 1848, aderì al gruppo della Sinistra storica e fondò il giornale Il Diritto, fu Presidente del Consiglio dei ministri italiano per nove mandati, deputato abitava al 3° piano di via Rosa Rossa 15 (il tratto di XX Settembre tra v. Viotti e v. Garibaldi), poi in via S. Chiara 32 al 2° piano.

 

 

 

 



image-1Contrada di Dora Grossa - via Garibaldi
Era il percorso dei commercianti da e per porta Susina, che dovevano pagare il dazio in p. delle Erbe.
1437 obbligo ai padroni delle case di acciottolare la strada.
1730 fu una delle prime strade in Europa dotate di marciapiedi, riabbassati a livello della strada nel 1843.
1736 rifatta (rettificata su progetto del Plantery) per volere di Carlo Emanuele III.
De Amicis : “Per chi entra in via Dora Grossa dalla piazza Castello con tempo sereno, la vista è più attratta dalla cortina bianca delle Alpi che chiude la via a ponente che non dalla sequenza delle facciate che stagliano un lunghissimo rettangolo di cielo tra due file di case uniformi”.

Vedi la monografia su Contrada di Dora Grossa - Via Garibaldi

Leggi un approfondimento sulla Contrada di Dora Grossa - via Garibaldi

Via Garibaldi - vedi le immagini delle antiche attività commerciali della via

 

 

 

 

 

 

Raddrizzamento della contrada di Dora Grossa
Il raddrizzamento della contrada di Dora Grossa, stabilito con Regio Editto del 27 giugno 1736, si inserisce tra gli interventi di riqualificazione delle aree urbane più antiche, ancora caratterizzate da un assetto di matrice medievale.
Gli interventi vennero avviati nel 1729 da Vittorio Amedeo II (1666-1732) – con i progetti del Primo Architetto di S. M. Filippo Juvarra (1678-1736) per la rettifica delle contrade di Porta Palazzo e di Porta Susina – per conferire a Torino un’immagine consona al suo nuovo ruolo di capitale regia. Furono proseguiti dal suo successore Carlo Emanuele III (1701-1773).

Nella composizione della struttura urbana via Dora Grossa ha avuto un ruolo preminente fin dall’antichità.
Decumanus maximus (asse rettore) della città di fondazione romana, di cui rimane sempre strada principale.
Nel periodo del Medioevo rimane vicina alle sedi del potere civile e religioso, il castello degli Acaia, il Palazzo del Comune e il complesso vescovile con il Duomo, mentre ospita i principali luoghi di commercio.

L’intervento di rettifica della via, attuato in seguito all’ampliamento occidentale, è dettato – oltre che da motivazioni politiche e di decoro urbano – da una nuova attenzione alle pubbliche necessità e al nuovo ruolo terziario della città: l’editto del 1736 e le disposizioni esecutive redatte nel 1739 dal Primo Architetto Regio Benedetto Alfieri (1699-1767) a sua integrazione danno inizio al processo – definito di “grossazione” – di accorpamento di più cellule preesistenti ancora di impianto medievale, che vengono demolite per fabbricare il più moderno e redditizio tipo della casa d’affitto, di maggiore densità edilizia e di più razionale impianto architettonico.

Vengono prescritti un’altezza di cornicione uniforme e l’allineamento delle facciate, che possono differire nei particolari decorativi, ma devono risultare unitarie isolato per isolato: i nuovi palazzi da reddito si connotano per la presenza di botteghe al piano terra e da quattro piani sovrastanti su via destinati ad alloggi da locazione.
Sarà tuttavia soltanto nel secondo Settecento, in un clima di pace e di maggior stabilità per gli Stati Sardi e quindi favorevole per gli investimenti economici, che le ristrutturazioni urbanistiche pianificate troveranno concreta attuazione.

La banda del Gambero
A fine 700 e inizio 800 Contrada del Gambero e Due Bastoni (attuale via Bertola) era molto pericolosa, fu teatro preferito di una banda detta appunto del Gambero che soprattutto nei pressi del teatro delle marionette di S.Martiniano assaliva I viandanti approfittando dell’oscurità. Il capo fu impiccato al rondò della forca

La prima strada illuminata elettricamente
In città la prima strada ad essere illuminata elettricamente fu via Garibaldi, il 7 aprile 1887.
La scoperta di questa nuova energia e delle sue applicazioni era ormai acquisita da anni, soprattutto a Torino dove Galileo Ferraris, tra il 1885 e il 1888, grazie ai suoi studi sui campi magnetici rotanti e con la conseguente nascita di un'imponente serie di applicazioni industriali.
L’interesse per queste importanti applicazioni fece passare in secondo piano l’invenzione di Alessandro Cruto che avevarealizzato la lampadina elettrica ad incandescenza.
Molti pensano che questo merito vada a Edison: non è vero, anche se all'epoca i grandiosi laboratori di questo scienziato lavoravano sullo stesso progetto e se, dopo poco tempo dal successo di Cruto, la soc. Edison lanciava le lampadine ad incandescenza sul mercato mondiale.
Alessandro Cruto, nato a Piossasco il 18 marzo 1847, figlio di un capomastro, studioso fina da giovane di fisica e chimica, con grossi sacrifici riuscì ad impiantare a Piossasco nel 1872 un modesto laboratorio per tentare di produrre diamanti artificiali e filamenti di carbone : e dopo otto anni nacque in questo laboratorio la prima lampadina elettrica a filamento di carbone.
Nel 1879, durante una lezione di Galileo Ferraris a cui assisteva Cruto, il famoso docente aveva sostenuto che gli studi sulle lampade ad incandescenza erano destinate a fallimento completo: il commento di Cruto, uscendo dall'aula fu: "Chiel-lì a l'ha mac d'le bale...". Frase quanto mai profetica, visto che nel 1884 lo stesso Galileo Ferraris illuminava a Torino i padiglioni dell'Esposizione Industriale usando le lampadine di Cruto.


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