Una tradizione di pasticceria



Una tradizione di pasticceria
I Taurini, antenati dei Torinesi, fabbricavano già il torrone e lo chiamavano "Aquicelo". Lo afferma Plinio il Vecchio: “In melle decotus nucleos pineos taurini Aquicelus vocant”. [I Taurini chiamano "Aquicelo" i pinoli ben cotti nel miele]

Sarebbero stati invece i dolciari della Torino del XVII secolo, riuniti nel culto di San Pasquale Baylon, ad inventare il Sambajone detto anche Zabaglione, come (dolce) omaggio alla figura del loro protettore.

Quando, nel 1563, il Duca Emanuele Filiberto I si spostò da Chambery (Francia) a Torino, portò con se del personale proveniente dalla Spagna. Tra questi, pare ci fosse anche San Pasquale, che venne ospitato nella Chiesa di San Tommaso.

Nel frattempo, nel 1563, dalla corte di Madrid Emanuele Filiberto aveva importato il cacao.
All'inizio lil nuova prodotto non ebbe vita facile: ne fu ostacolata infatti in tutti i modi la diffusione.
Autorevoli maghi dell’epoca appiopparono alla ghiottoneria il nome di “bevanda malefica” fatta da “pericolosissimo sciocolato”.
Si disse pure che era stata la causa della gotta di Carlo V e di Filippo II.
Così passò più di un secolo prima che la cioccolata apparisse in vendita in un pubblico spaccio.
La prima Licenza (conservata nella Biblioteca Reale di Torino) fu rilasciata nel 1678 da Madama Reale Giovanna Battista con la seguente attestazione "Avendoci Giovanni Antonio Ari fatto supplica di concedergli il privilegio di vendere pubblicamente la cioccolata in bevanda in questa città per anni sei dalla data della presente, abbiamo accondisceso volentieri alla sua domanda per esserne stato lui il primo inventore".

Il cacao iniziò così a diffondersi fino a permettere il formarsi di una solida industria. In città iniziarono a brillare i “cioccolattieri”: Giroldi in Dora Grossa, Andrea Barera in Contrada dell’Accademia, Bianchini preso la chiesa di Santa Teresa, la vedova Giambone in Contrada Nuova (Via Roma Vecchia).

La produzione industriale iniziò ai primi del 1800 con la realizzazione della “macchina idraulica per il raffinamento del cacao”, del piemontese Doret. La scoperta fu poi perfezionata e Caffarel fu il primo ad acquistarne il brevetto.
Sui giornali del 1802 si legge: “Caffarel padre e figlio, fabbricanti di cioccolata col mezzo di macchina idraulica, già privilegiata di Sua Maestà, fuori di Porta Susa, casa propria sulla Passeggiata di Principe Eugenio [l’attuale omonimo corso], Deposito in piazza Castello”, accanto al 14”.

I primi prodotti di cioccolato solido furono battezzati “givu” (cicca, mozzicone): erano cioccolatini sfusi, senza carta, grossi come una ghianda.
Il Carnevale del 1867 rappresenta una data storica per la pasticceria cittadina: Gianduja apprezza la squisitezza di un nuovo “givu” allungato e morbido e decide di dargli il suo nome: nasce il “Giandujotto”, inventato da Prochet, proprietario della Caffarel, il quale aggiunse al cacao e allo zucchero, le nocciole macinate “tonde gentili delle Langhe”.

Gli svizzeri vengono a copiare

Nel primo ottocento vennero a Torino a osservare la lavorazione del cioccolato François Louis Cailler e Philippe Suchard i quali, tornati in Svizzera cominciarono a produrre cioccolato in tavoletta, il primo a Vevey, il secondo a Neuchâtel.
Altri nomi famosi della confetteria cittadina sono Talmone, Moriondo e Gariglio, Romana Bass, Baratti e Milano, Viola, Stratta, Venchi, Peyrano ecc.

 

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