Atlante di Torino


 

cliccare sulle immagini per ingrandirle: la zona ai tempi della mandorla:  
image-1
image-1
 

Cliccare sulla mappa sottostante (nelle zone evidenziate in arancione) per gli approfondimenti relativi alla zona prescelta
(lasciando il puntatore sull'immagine compare la scritta di riferimento) :

Palazzo Reale Armeria - Biblioteca Reale Giardini Reali Teatro Romano Duomo Campanile del Duomo PiazzettaReale Palazzo del Vescovo Cancellata di palazzo reale Palazzo Chiablese

 


I numeri dei titolini corrispondono a quelli dei rispettivi isolati sulla mappa di riferimento qui in alto
(cliccare sulle immagini - dove appare la manina al passaggio del mouse - per ingrandirle)
attendere il caricamento completo - per una migliore consultazione le immagini sono grandi:

Piazza San Giovanni
Nel Medioevo era sede del Mercato del Pollame.

image-1Teatro romano
La costruzione risale al I secolo d.C., con successivi ampliamenti nel II e nel III secolo. Occupava lo spazio di un’intera insula romana, tornò alla luce durante i lavori di costruzione della Manica Nuova di palazzo Reale, costruita nel 1901, che ancor ne copre una parte.
Per due volte venne distrutto da incendi e ricostruito. Seguendone il lato che fiancheggia via XX Settembre, si giunge all’estremità dove si vedono le fondamenta del Porticus post scænam. Poco oltre, un tratto delle mura romane, con la base di una torre ottagonale. Un’altra torre ora è coperta dalla Manica Nuova di palazzo Reale. Nelle vicinanze sorgevano anche le Terme Romane.


image-1image-1image-1image-1Palazzo Reale ala nord ovest
La Manica Nuova di Palazzo Reale,alla destra del Duomo, fu realizzata su progetto dell'architetto di corte Emilio Stramucci tra il 1899 e il 1903, dove sorgeva il palazzo di San Giovanni, in via del Seminario, attuale via XX Settembre. Ospitò gli Uffici della Real Casa insieme agli Appartamenti di servizio per il Ministro della Real Casa, il Gran Scudiere, il Gran Cacciatore e il Prefetto di Palazzo. Successivamente accolse l'Ordine di Malta nelle sale auliche al primo piano, oltre agli uffici reali e a funzioni ospedaliere distribuite negli altri ambienti. Negli anni Settanta del Novecento l'edificio fu concesso in uso alla Regione Piemonte che attuò un importante intervento di ristrutturazione per adibirlo ad uffici, destinazione che conservò fino agli anni Ottanta inoltrati, prima della dismissione.

image-1Cosa vuol dire FERT?
Il vero signifiocato del motto di casa Savoia, comparso per la prima volta sui Collari dell’Annunziata nel 1364 è oscuro e ha dato vita diverse interpretazioni:
* Dal verbo latino potrebbe voler dire “porta” o “sopporta”
Oppure come acronimo:
* Fortitudo et Robur Taurinensis. (Forza e robustezza torinese).
* Fortitudo Eius Rhodum Tenuit (La sua forza preservò Rodi),
* Foedere Et Religione Tenemur (La pace e la religione ci tengono uniti)
* Fides Est Regni Tutela (La fede è la protezione del Regno)
Un’altra versione propone il francese: Frappez, Entrez, Rompez Tout. (Colpisci, Entra, Spacca tutto)
Non mancò nemmeno un’interpretazione satirica:
* Fœmina Erit Ruina Tua (La donna sarà la tua rovina).

image-182 - Paolina Bonaparte
Palazzo Chiablese, in piazza S.Giovanni 2, anticamente chiamato palazzo del Cardinale o di Madama Ludovica; nel ‘500 residenza dei Langosco (Beatrice di Langosco fu amante di Emanuele Filiberto al quale diede due figlie). Prende il nome dal duca Benedetto Maurizio del Chiablese, figlio di Carlo Emanuele III.
Restaurato da Benedetto Alfieri nel 1740.
Fu scelto come residenza da Camillo Borghese (1775 - 1832), governatore del Piemonte (dal 1808 fino alla caduta di Napoleone), e della moglie Paolina Bonaparte, sorella dell’imperatore.
Abitato da Carlo Felice (che vi morì nel 1831) e dalla sua vedova, la regina Maria Cristina, quindi dai duchi di Genova.
Gravemente danneggiato dai bombardamenti nella 2° Guerra Mondiale. Ha ospitato il Museo del Cinema. Attuale è la sede della Sopraintendenza alle Belle Arti.

image-182 - La corte dei principi Borghese
Paolina Bonaparte ed il marito Camillo Borghese disponevano di tre grandi carrozze, di sessanta cavalli, di una muta di cani. Il principe aveva sei ciambellani, quattro scudieri, quat­tro aiutanti di campo, un segretario. La principessa a sua volta disponeva di sei ciambellani e quattro scudieri, una dama d'onore, dodici dame di compagnia. Un governa­tore di palazzo, con le funzioni di gran maresciallo e con un prefetto ai suoi ordini, sovrintendeva al buon funzionamento del palazzo Chiablese.


82 - Il lupo di mare
Il 6 febbraio 1854 nasce a palazzo Chiablese Tommaso II duca di Genova che entrò nella Regia Marina dove militò per 28 anni. Comandò la corvetta Vettor Pisani che, tra l’altro, effettuò un proficuo viaggio in Asia, risalendo per 700 miglia il fiume Yang-Te-Kiang

image-182 - La Regina Margherita
Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia (Torino, 20 novembre 1851 – Bordighera, 4 gennaio 1926) consorte di re Umberto I, fu la prima regina consorte d'Italia poiché la moglie di re Vittorio Emanuele II, Maria Adelaide d'Austria, era morta nel 1855, prima della proclamazione del Regno avvenuta nel 1861. Margherita venne alla luce nel Palazzo Chiablese di Torino alle 0.45 del 20 novembre 1851, figlia di Ferdinando di Savoia-Genova, primo duca di Genova, e di Elisabetta di Sassonia, figlia del re Giovanni di Sassonia. Il battesimo fu celebrato lo stesso giorno in una cappella «all'opportunità allestita e con splendidezza adornata», alla presenza del presidente del Consiglio Massimo d'Azeglio, di Alfonso La Marmora e del conte di Cavour, allora ministro della Marina e dell'Agricoltura e Commercio. Rimase orfana di padre all'età di quattro anni, e con la madre e il fratello minore Tommaso duca di Genova passò l'infanzia e l'adolescenza nel Palazzo Chiablese. Elisabetta era stata confinata da Vittorio Emanuele II al castello di Govone prima e nella villa di Stresa poi, come punizione per avere sposato clandestinamente un borghese, Nicola Rapallo (1856). L'intercessione di Giovanni di Sassonia e di Aleksandra Fëdorovna, zarina madre, portò alla riabilitazione di Elisabetta e all'accettazione del matrimonio, mentre lo sposo fu creato marchese di Rapallo.
Negli anni in cui fu al fianco di Umberto come principessa ereditaria e, dal 1878, come regina d'Italia, esercitò una notevole influenza sulle scelte del marito e un grande fascino presso la popolazione, facendo sapiente uso delle proprie apparizioni pubbliche, concepite per attrarre il popolo con un abbigliamento ricercato e una costante affabilità. Secondo Ugoberto Alfassio Grimaldi, fu il personaggio politico dell'Italia unita che suscitò, dopo Giuseppe Garibaldi e Benito Mussolini, «i maggiori entusiasmi nelle classi elevate e nelle classi umili».

82 - Il primo palazzo assicurato
La prima società di assicurazione italiana, la “Società Reale di Assicurazioni Generale e Mutua contro gli Incendi" venne fondata a Torino il 31 dicembre 1828 per volontà del re Carlo Felice che firmò la polizza n.° 1.
Il re assicurò Palazzo Chiablese contro «gl’incendj» per «Dugento Mila Lire».
Successivamente vennero ampliati i settori di attività: nel 1844 venne aperto il ramo grandine e negli anni successivi, di pari passo con l'estensione del Regno d'Italia e la successiva unità, «Reale Assicurazione» espanse le proprie sedi diventando quella che oggi conosciamo con il nome di «Società Reale Mutua di Assicurazioni».

San Giovanni - Duomoimage-1image-1image-1

 

 

 

 




Venne edificato in posizione decentrata, vicino alle mura, per favorire l’accesso a chi veniva dalla campagna.
Ha una delle cripte rinascimentali più ampie d’Europa. Risalgono ai primi secoli del Cristianesimo le tre chiese di San Salvatore (Solutore), San Giovanni e di Santa Maria, di cui sono state scoperte le fondamenta. La chiesa di San Salvatore ha un valore particolare per la storia torinese perché qui predicò il primo, energico vescovo della città, San Massimo. Intorno alle tre chiese furono sepolti per secoli numerosi personaggi, secondo l’abitudine medievale.

Le tre chiese
La Basilica di S. Salvatore, fu rinvenuta nel 1909 tra il duomo attuale e il campanile.
Probabilmente edificata nel VI secolo, venne ricostruita nelTVIII secolo con l'aggiunta di un chiostro e ulteriormente rimaneggiata tra XI e XII secolo, epoca alla quale si attribuisce un pregevolissimo mosaico bicromo di carattere cosmografico.

La chiesa di S. Giovanni Battista, databile alla fine del IV secolo e usata come battistero, venne ricostruita tra il XI e il XII secolo in stile romanico.

La chiesa di S. Maria "de Dompno" (probabile corruzione di S. Maria “de Domino") era forse già esistente nel IX secolo.



image-1image-1Il Duomo
Nel 1498 il Cardinale Domenico della Rovere fece abbattere il complesso medievale per far realizzare dall’architetto toscano Meo del Caprina la chiesa attuale, unico esempio di architettura rinascimentale in città.
La scalinata venne costruita per impedire l’accesso in chiesa agli animali, fatto consueto durante il Medioevo
Venne anche edificata una parte sotterranea in cui, fino all’Ottocento, furono sepolti i vescovi della città. Nel 1668 è stata aggiunta, comunicante con palazzo Reale, la Cappella del Guarini.

Nel 600 in occasione della festa il re Longobardo Agilulfo e sua moglie Teodolinda, organizzarono la corsa di un carro, trainato da due buoi ubriacati in precedenza, che dopo aver percorso le vie adiacenti entravano con grande strepito all'interno della Chiesa (allora senza scalinata) per la benedizione del grano e del vino che poi venivano distribuiti ai poveri.

Nel settembre del 1716 fu teatro di un furto sacrilego: i ladri rubarono una lampada d’argento donata dal principe di Carignano e un candelabro d’argento con lo stemma del re.
L’interno è diviso in tre navate. In una teca posta sull’altare maggiore è custodita dal 1998 la Sindone (fino al 1997 era custodita nella Cappella del Guarini), nella navata di sinistra è collocata una copia in dimensioni reali.

Il vescovo Ursicino
Nella controfacciata, entrando a sinistra, è stata murata (in un’improbabile posizione verticale) l’altomedievale lastra sepolcrale del vescovo Ursicino, rettore della Chiesa torinese nel VI-VII secolo, proveniente dal cimitero di S. Salvatore; a fianco si notano i sepolcri di Antonio e Amedeo di Romagnano25 (XV-XVI sec.) entrambi già tumulati nel duomo attuale.
La lastra, rinvenuta nel 1843 durante alcuni scavi effettuati nel cortile del Palazzo Vecchio (detto della "panetteria reale"), riporta sulla parte alta un'iscrizione orizzontale che recita: “questo sacerdote fu vescovo per 47 anni e terminò i suoi giorni di circa 80 anni"; quella all'intemo del cerchio dice: "sepolcro della santa memoria del vescovo Ursicino nel tredicesimo giorno delle calende di novembre, nella tredicesima indizione".
Durante i medesimi scavi fu scoperta una fila di sepolcri triangolari, formati da mattoni di fabbrica romana, muniti dell'Impugnatura e privi di bollo.

image-1Un antipapa sepolto in Duomo
Amedeo VIII, figlio del conte Rosso,a soli 8 anni divenne sovrano di casa Savoia. Nel 1430 promulgò gli “Stati di riforma generale” che rimasero in vigore per circa 400 anni. Nel 1430 si ritirò fondando l’ordine di San Maurizio. Il 15 dicembre 1434 venne eletto Papa dal Consiglio di Basilea col nome di Felice V, in opposizione al Papa romano Eugenio IV. Successivamente rinunciò alla nomina. Morì nel 1451 a Ginevra dove era amministratore della diocesi. Nel 1842 Carlo Alberto fece tumulare i suoi resti nella cappella della Sindone in Duomo.

 

Il calice del miracolo
Il calice che raccolse l’ostia del miracolo del Corpus Domini fu custodito in Duomo fino alla II Guerra mondiale quando, per sicurezza, venne murato in una piccola nicchia nota solo al canonico Benna che morì di polmonite prima di poter rivelare il luogo dove la reliquia era stata nascosta.

Vedi: le immagini del Duomo - Cattedrale metropolitana di San Giovanni Battista

image-1La torre di San Andrea
Sul lato destro del Duomo c’è la torre campanaria romanica (detta di sant’Andrea), fatta costruire nel 1470 dal vescovo Giovanni di Compeys, il cui stemma è ancora visibile sul lato ovest. Venne ulteriormente sopraelevata nel 1720 da Filippo Juvarra. E’ alta 60 metri.

Vedi: le immagini dal campanile del Duomo

 

 





image-1La porta che fermò una rivolta
Nel 1797 ci fu una cospirazione per proclamare la repubblica. Il piano prevedeva gruppi di congiurati dislocati in vari punti della città che avrebbero dovuto arrestare la famiglia reale (che si trovava fuori dal palazzo), impadronirsi della Cittadella e dei centri strategici.
Il segnale doveva arrivare dalle campane del Duomo suonate a stormo. Però il gruppo che doveva occupare il campanile trovò inaspettatamente la porta chiusa a chiave e ogni tentativo di forzarla fallì mandando a monte il piano.
I reali, infatti, nel frattempo, erano tornati a palazzo.

Grazie a un delatore molti congiurati vennero arrestati e giustiziati. Un anno più tardi l'invasione napoleonica realizzò il disegno dei cospiratori giacobini, costringendo i Savoia all'esilio.

 

 

image-1image-1La Sindone
Le prime testimonianze risalgono alla metà del XIV secolo, quando il cavaliere Geoffroy de Charny, generale francese, la custodì nella chiesa da lui fondata nel 1353 nel suo feudo di Lirey nello Champagne.
Nel corso della prima metà del ‘400, a causa della Guerra dei cento anni, Marguerite de Charny ritirò la Sindone dalla chiesa di Lirey (1418) e la condusse con sé nel suo peregrinare attraverso l’Europa, per poi essere ospitata dai duchi di Savoia. Nel 1453, nell’ambito di una serie di atti giuridici tra il duca Ludovico e Marguerite, avvenne il definitivo trasferimento ai Savoia che la conservarono a Chambery sino al 1578.

Emanuele Filiberto la trasferì a Torino il 14 settembre 1578, tra le salve dei cannoni, in un’atmosfera di grande solennità. L’occasione favorevole al trasferimento si era presentata per facilitare il viaggio dell’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo che aveva deciso di recarsi a piedi in Savoia per venerare il Santo Sudario. Emanuele Filiberto ottenne così un notevole risultato di prestigio per la città.
La Sindone nei secoli seguenti, fu oggetto di numerose ostensioni pubbliche o private.
Nel 1694 venne terminata la costruzione della cappella che da allora la ospita, ad opera di Guarino Guarini.
Dal 1983 divenne proprietà della Santa Sede, per volontà testamentaria di Umberto II di Savoia.

 

 

Vedi la monografia: Guarini - la cappella della Sindone

 

Ostensione straodinaria per Il ritorno del duca
L’8 aprile 1645 l’undicenne duca Carlo Emanuele II, ritornò in città dopo sette anni passati nella fortezza di Montmélian e a Chambery. 
L’abate Valeriano Castiglione racconta questo avvenimento che chiuse un periodo terribile: la guerra del Monferrato, l'epidemia della peste del 1630 e la guerra civile tra Madamisti (schierati con la madre Cristina) e i Principisti (che appoggiavano gli zii, principe Tommaso e Cardinal Maurizio) per la reggenza del giovane duca, spalleggiati rispettivamente da Francia e Spagna.
La guerra civile finì nel 1642, ma Carlo Emanuele II rientrò solo l’8 aprile 1645, scortato dalla madre.
I francesi poi lasciarono definitivamente Torino solo nel 1657, nel mentre Madama Cristina continuò a governare fino al 1663.
«Era la Duchessa vestita del solito abito vedovile – racconta Castiglione - ricco nondimeno per la qualità delle gioie; l'ornava un manto regale sostenuto. Il Duca abbigliato d'habito à ricami d'oro, haveva capello piumato à bianco, e gioiellato».
Dal castello del Valentino, dimora preferita da Cristina, portati su una lettiga, arrivarono davanti alla Porta Nuova (l’attuale piazza Carlo Felice), abbellita con una coreografia di finti marmi. 
Dalla Cittadella partirono salve di mortaretti, mentre l’Arcivescovo benediva la coppia. Terminati gli inni di ringraziamento il governatore, conte Arduino Valperga, offrì al duca le chiavi della città «in un bacile d’oro».
Il corteo riprese la marcia verso il centro, scortato dal clero e dai nobili.
Continua il Castiglione: «Populatissimo si vedeva il corso di Contrada Nuova (l'attuale via Roma) illustrata di lumi. La piazza del Castello s'offerì à gli occhi delle Altezze Reali abondantissimo parimente di lumi.
Sul principio della Contrada nominata la Doragrossa (attuale via Garibaldi), stava fabricato un Arco ornato di statue, di pitture, ed inscrizioni sotto le grand'Arme reali». 
Anche il Municipio era addobbato di luci. Il duca arrivò in Duomo, dove gli venne mostrata la Sindone, con un’Ostensione straordinaria.
Dal Castello (attuale Palazzo Madama) il giovane duca si affacciò al balcone per assistere al grandioso spettacolo di fuochi artificiali.
«L'illuminazione delle contrade  - scrive ancora il Castiglione - si protrasse per tre notti e inoltre acciocché penetrasse il contento anche ne' più oscuri posti à rasserenar gli animi delli rinchiusi fra gli ergastoli, furono aperte le carceri, e data ai miseri la libertà».


image-1Una lunga attesa
Ventuno anni dopo il terribile incendio che nella notte dell’11 aprile del 1997 lesionò la cupola della Sindone, il capolavoro del Guarini, torna a far parte del percorso di visita dei Musei Reali, inserita tra Palazzo Reale e la Galleria Sabauda. Al termine dei lavori, il costo complessivo del restauro ammonterà a oltre 30 milioni di euro, suddivisi tra il Ministero per i beni culturali, che interviene con la cifra più consistente (28 milioni di euro), la Compagnia di San Paolo e  la Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali di Torino

 

Vedi le foto della Cupola della Sindone prima e dopo l'incendio e il restauro

 

 

 

image-1La meridiana zodiacale
Sulla parete laterale del Duomo, davanti a palazzo Chiablese, c’è ancora una meridiana astrologica: non segna l'ora solare, ma indica il segno zodiacale nel quale ci si trova.
I segni dello zodiaco sono disposti verticalmente e non in cerchio come avviene solitamente. In alto si trova il segno dci Capricorno, in corrispondenza di quello inferiore che raffigura il Cancro. I disegni sono visibili chiaramente solo in particolari condizioni di luce.

 

 

 

 

 

La maledizione della strega
Agilulfo re longobardo che regnò dal 591 al 616, nominò duca della città Arioaldo, al quale aveva dato in sposa la figlia Gundeberga. In quel periodo una donna accusata di stregoneria fu bruciata, presso le torri Palatine, per ordine del vescovo Ursicino.
Si racconta che la donna prima di morire abbia lanciato una maledizione contro i suoi persecutori, urlando che, a breve distanza di tempo, il Duomo, nello stesso giorno, sarebbe stato bagnato due volte dal sangue. Pochi anni dopo, nella Pasqua del 662 un sicario uccise il duca longobardo, Garipaldo, nel battistero del Duomo, prima di essere a sua volta trucidato dalla sua scorta.


Nasce la novena di Natale
Nel dicembre del 1621 vengono poste fiaccole davanti ai palazzi Reale e Madama e all’imbocco di via Po. Ogni sera, per nove giorni, un corteo accompagna il duca Carlo Emanuele I e la sua famiglia in Duomo dove un predicatore (per l’occasione il napoletano Dionisio Dentice) parla ai fedeli. La tradizione vuole sia la nascita della novena di Natale.

image-1image-1La cancellata magica
Fin dal 1663 tra la piazzetta Reale e piazza Castello esisteva un muro con porticato, sovrastato da una struttura in legno. Serviva da corpo di guardia e (la parte superiore) per le ostensioni della Sindone motivo per il quale era stato costruito in occasione delle nozze di Carlo Emanuele II. Era detto “pavajon ‘d bosch”.
Il 25 pratile (14 giugno) 1801 festa per il 1° anniversario della battaglia di Marengo venne allestita una “Macchina della Concordia” per i fuochi d’artificio, mentre nel Giardino Nazionale (Reale) fu predisposto un Arco di Trionfo.
Già nel 1801 si pensò di abbatterlo in quanto sipario antiestetico e “muro sconcissimo” come lo definì Vittorio Alfieri.
Nel 1811, durante i festeggiamenti per la nascita del figlio di Napoleone, s’incendiò e venne demolito.
Nel 1842 venne eretta la cancellata di Pelagio Pelagi, fusa in corso San Maurizio 32 nell’officina Colla Odetti, e posta la prima statua equestre (la seconda nel 1846) voluta da Carlo Alberto.
Al centro della cancellata, tra le due statue, i cultori della magia individuano la divisione tra la Torino sacra e la Torino diabolica.

 

image-1Piazzetta Reale
In principio del secolo xv era uno spazio ristretto davanti al Castello usato anche per il gioco della pallacorda, Per ordine del principe d’Acaja nel 1659 si abbatterono due case, allargando la piazza dove erano situate le prime fonderie dell’Arsenale d’artiglieria, costruendo il padiglione (dove ora c’è la cancellata).
Nell’aprile del 1717 vi si tenne un banchetto offerto da Vittorio Amedeo II a 800 poveri destinati all’Ospizio di Carità appena aperto in via Po (palazzo degli Stemmi).
Vennero serviti a tavola da dame e cavalieri di corte che poi li scortarono fino all’Ospizio.
Nel 1845 fu proibito l’ingresso ai cani in quanto le loro effusioni amorose scandalizzavano la regina.

Palazzo del Vescovo - La Laurea di Erasmo
Il palazzo vescovile di San Giovanni (detto anche palazzo Vecchio), costruito in parte nella zona occupata dal teatro romano, fu anche utilizzato come reggia, prima della costruzione di palazzo Reale.
In questo edificio, non più esistente, secondo l’uso del tempo discusse la tesi di laurea, in teologia Erasmo da Rotterdam (1466-1536) autore dell’Elogio della follia (1509), una satira della teologia scolastica, dell’immoralità del clero e della curia oltre ad un’esaltazione della follia del vero cristiano che dedica la vita alla fede.

Demolito all'inzio del 900
Il "Palazzo Vecchio", che aveva l'ingresso presso il campanile del Duomo, venne completamente demolito perla costruzione della "Manica Nuova".
Alcune fotografie di fine '800, nonché diversi dipinti e rilievi di epoca barocca, rendono l'idea della maestosità e vastità del palazzo che tuttavia era, sul finire del XIX secolo, notevolmente decaduto e vi si trovavano botteghe, magazzini, uffici. La facciata verso la città era comunque disadorna; più decorata doveva essere la facciata verso il giardino interno.

image-1Autopsia a Palazzo
Palazzo Vecchio era la residenza di Emanuele Filiberto (1528-1580) quando trasferì la capitale da Chambery dando l’avvio all’ingrandimento della città.
Alla morte dell’amatissima moglie Margherita di Francia, il capo della polizia personale del duca, Antonio Scaramuccia, riferì che girava la voce di avvelenamento, causa l’eccessiva comprensione della duchessa verso i calvinisti. Venne effettuata un’autopsia e il referto fu: “Le interiora sono bellissime, nè pur minimo segnale di veneno”

 

 

 

 

image-1Palazzo Vecchio diventa Ducale
Nel 1574 ospitò il re di Francia Arrigo III e successivamente i vicerè francesi. Danneggiato durante l’assedio del 1640. Dopo la decisione di Emanuele Filiberto di spostare la capitale da Chambery, il figlio, Carlo Emanuele I si insediò in quello che all’epoca era chiamato palazzo Vescovile situato alle spalle del Duomo acquistato per 15.000 scudi d’oro. Venne quindi ribattezzato palazzo Ducale e più tardi palazzo Vecchio, dopo la costruzione di palazzo Reale.



Palazzo Reale
Nel 1584 Carlo Emanule I commissionò a Ascanio Vittozzi la costruzione di un nuovo palazzo in posizione strategica d’angolo, per controllare due porte e la città, annesso al bastione degli Angeli a cui si poteva accedere solo dal palazzo.
Iniziato nel 1643 per volere di Cristina di Francia, fu residenza dei duchi di Savoia, dei re di Sardegna e del primo re d’Italia, fino al 1865.
Durante la reggenza di Cristina di Francia, il cantiere è diretto da Carlo di Castellamonte e quindi da Carlo Morello, che modifica la facciata, avvia la costruzione del Padiglione per l’ostensione della Sindone e definisce la piazzetta Reale. La decorazione degli interni e l’arredamento, realizzati da artigiani ed artisti provenienti da varie parti seguono un preciso programma, dettato dal retore di corte Emanuele Tesauro, per esaltare le virtù del sovrano.

Vedi le immagini dell'interno di palazzo Reale

 

 

 

 

 

 

 


image-1La scala delle forbici
Il nome deriva da un paio di forbici che l’architetto Filippo Juvarra incluse tra i fregi per burlarsi di coloro che lo criticavano “tagliandogli i panni addosso” accusandolo di troppa originalità, ancor prima di veder il lavoro finito.

 

 

 

image-1La statua a due teste
Il monumento equestre a Vittorio Amedeo I “il cavallo di marmo”, collocato a fianco della scalinata di palazzo Reale, su cui lavorarono diversi scultori (qualcuno insinuò anche, erroneamente, che gli schiavi alla base del mumento fossero stati scolpiti da Michelangelo).
Il duca Carlo Emanuele I nel 1619 aveva commissionato a Andrea Rivalta una statua in bronzo di Emanuele Filiberto. L’artista scolpì subito un cavallo in pietra. La gittata in bronzo venne eseguita dal luganese Federico Vanelli, fonditore delle artiglierie ducali. La statua, divisa in tre parti: cavallo, cavaliere e schiavi rimase per 44 anni in tre diversi magazzini. Carlo Emanuele II decise poi di farla montare, mettendo però al posto della testa di Emanuele Filiberto, quella del padre Vittorio Amedeo I.
Si nota ancora, infatti il tipico collare alla spagnola indossato da “testa di ferro” nel ‘500, troppo difficile da sostituire con l’ampio bavero ricamato di moda nel ‘600.

Cerea
Alla fine del 500 l’istitutore del futuro Carlo Emanuele I, il dotto Ambrogio Olerio, a corte salutava con un erudito “Chere !” (il Salve dei greci). La parola prese piede, modificandosi in Cerea, il tradizionale saluto dei torinesi.

Un altro primato: il Magistrato delle Acque
Emanuele Filiberto, nel 1567 istituì un "Magistrato delle Acque", al quale conferì l'incarico di sovrintendere a tutte le questioni inerenti le acque e di dirimere le relative vertenze. Il Magistrato era chiamato "Referendario e Conservatore di tutte le Acque" e giudicava al di fuori della Magistratura ordinaria (però era vincolato alle perizie tecniche degli ingegneri ducali). La Legislazione del Ducato di Savoia relativa alla regolamentazione dei corsi d'acqua era molto avanzata. Basti un esempio: la "Servitù di Acquedotto" fu istituita da Carlo Emanuele I nel 1584, mentre in Francia fu adottata soltanto con la Legge del 1845 In Italia la sola Venezia (per ovvie ragioni) vide l'istituzione di una "Magistratura delle Acque" prima di Torino.
Già nel 1755 una Legge delle Regie Costituzioni Sarde ordinava il trasferimento nei sobborghi periferici di Valdocco (Dora) e Vanchiglia (Po) delle attività artigiane nocive o giudicate incompatibili con il decoro urbano.

image-1I gioielli della Corona ai francesi
I gioielli che Madama Reale, Cristina di Francia, lasciò al figlio Carlo Emanuele II vennero chiusi in due forzieri custoditi (dal 1703 al 1711) a palazzo Reale.

Quindi vennero affidati al gioielliere Giovanni Stoupier. Alla fine del ‘700 metà (valevano sui 5 milioni di franchi dell’epoca, quasi 190 milioni di Euro) venne data in pegno alla Banca di Amsterdam (che li valutò per difetto 2.135.000 franchi) ottenendone un prestito di due milioni. Quando le truppe francesi invasero l’Olanda (1795) il comitato di salute pubblica ordinò che fossero consegnati alla tesoreria nazionale di Parigi.
L’altra metà dei gioielli, rimasti a palazzo Reale, venne confiscata dai commissari della repubblica francese nel 1798 che spogliarono il palazzo di tutti gli arredi di valore (tra il 1799 e il 1802 furono spediti da To a Parigi circa 200 quadri, oltre a statue, libri, carte...), mentre i quadri rimasti, secondo l’ordine del generale Jourdan vennero regalati all’Accademia di pittura e scultura (questi vennero poi restituiti all’atto della Restaurazione).

I passatempi di Emanuele Filiberto
Relazione della Corte di Savoja, letta nel 1570 davanti al Senato della Serenissima Repubblica di Venezia, dall'Ambasciatore Giovanni Francesco Morosini:
«Ha ancora il signor Duca un valentissimo architetto, al quale dà da cento cinquanta scudi d'oro di provvisione, e si dimanda il Paciotto, con il quale spende anco quella parte del giorno, che gli resta libera dalle udienze e negozj, in disegnar fortezze, macchine da espugnarle, modi di condur artiglieria per le montagne e cose simili, non potendo star un'ora in ozio. Trattiene quattro barcaruoli veneziani per andar a spasso per il Po in una gondola che ha, ai quali dà stipendio di dieci scudi al mese. Ha buon numero di giardinieri, perché si diletta assai di giardini, nei quali fa la maggior parte della sua vita, e bene spesso è lui quello che pianta gli alberi, ed innesta di proprie mani. Tiene una quantità di diversi artefici, come maestri d'orologi, orefici, tornitori, pittori, armaroli, dissegnatori, livellatori, fonditori, persone ch'attendono ai lambicchi ed alle alchimie, nei quali spende assaissimo: tutti questi hanno le loro stanze in luogo, che sua eccellenza può andar da ogn'uno di essi per il suo giardino senza esser veduta da altri, e vi va molto spesso sola, ovvero con il suo matematico, o con il Paciotto a far qualche cosa di sua mano, per voler aver sempre qualche cosa da impiegarsi e non star in ozio, lo che essa grandemente detesta».

L'Unicorno nel cassetto di Vittorio Amedeo I
Secondo quanto risulta dall'inventario (vedi il dettaglio) effettuato dopo la morte di Vittorio Amedeo I, in uno dei suoi cassetti fu rinvenuto quello che, al tempo, era considerato l'amuleto più ponte in assoluto: "... “ un picciol pezzo d’Ulicorno di spessezza di un pollice...”

 

 

 

La disperazione di Vittorio Amedeo II
Il 6 maggio 1699 nacque Vittorio Filippo, figlio del re Vittorio Amedeo II che fino ad allora aveva avuto quattro femmine e un solo maschio, Emanuele Filiberto, vissuto però solo pochi giorni. Per il nuovo erede venne preparato un appartamento a piano terra di palazzo Reale, aveva tutte le doti migliori, ma a soli sedici anni (nel 1715) morì di vaiolo gettando nella disperazione il padre che vagò per un’intera settimana tra le stanze del palazzo in preda ad un delirio che si placò solo dopo aver ucciso a sciabolate uno dei suoi cavalli più belli.

Il re che spiava i suoi sudditi
Secondo quanto raccontava Giovanni Bogino, ministro sotto Carlo Emanuele III, re Vittorio Amedeo II da vecchio avrebbe avuto l’abitudine di percorrere, in incognito, di notte, le vie della capitale per ascoltare di nascosto le opinioni dei sudditi sul loro sovrano.
Il re era un inflessibile accentratore del potere: sceglieva i suoi ministri solo dopo averli messi alla prova e poi ne aizzava gli antagonismi, consultandoli sempre in separata sede.

Una corte “decent et splendid”
Nel Settecento la giornata del Re e della Regina si svolgeva attraverso cerimonie che erano quasi funzioni religiose.
Tutto si svolgeva secondo le rigide prescrizioni del Gran Maestro delle Cerimonie.
Era passato il tempo in cui chi voleva parlare con Emanuele Filiberto andava a Palazzo, entrava nella sala da pranzo e aspettava che il Duca avesse finito per avvicinarlo ed esporgli le sue faccende.
Nel XVIII secolo tutto era orchestrato dalla canna d'ebano del Gran Maestro.
La corte del Re comprendeva circa 330 nobili: Maggiordomo, Gran Cancelliere, Grande Elemosiniere, Gran Cacciatore, Cavaliere d'Onore, Maestro di Cerimonie, Gentiluomini di Bocca, di Camera, Cappellani, Cavallerizzi, Paggi, Valletti e poi il personale di servizio (625 persone ai tempi di Carlo Emanuele III) con cuochi, staffieri, servitori di scuderia. Il Gibbon diceva del Regime Sabaudo "decent and splendid economy".
Il parsimonioso Vittorio Amedeo II aveva stabilito che per il riscaldamento invernale a Palazzo non si dovessero usare più di 16 pezzi di legno al giorno per le grandi sale ducali, 12 per le stanze della Duchessa, 5 per le stanze delle Dame, e questo per le giornate più rigide. Alla metà del '700 la Corte gravava sul bilancio per 1.358.900 lire; salì a due milioni alla fine del secolo mentre la Corte di Francia costava più di 41 milioni. Stipendi dunque a Torino assai bassi eppure la città intera ne viveva.

Vedi l'approfondimento e le immagini: vita di corte nel '700

Consiglieri e generali inadeguati
Vedi l'approfondimento: I dispacci dell'ambasciatore russo, principe Alexandr Mikhailovich Belosselsky, durante il regno di Vittorio Amedeo III, raccontano la situazione al tempo della rivoluzione francese.

Napoleone a palazzo Reale
L’imperatore arrivò in città il 24 aprile 1805, in carrozza, assieme alla moglie Giuseppìna, entrò sotto un arco trionfale appositamente eretto, seguito da una scorta di cavalleggeri al comando del principe Eugenio Beauharnais. Si insediò a palazzo Reale, dove ricevette le autorità, visitò la città e una mostra di prodotti piemontesi; presenziò ad uno splendido ballo dato al municipio in suo onore; diede anche istruzioni per l’assetto delle finanze, per la repressione del brigantaggio, per la punizione dei commissari ladri, per la navigazione del Po e per importanti lavori di pubblica utilità. Ripartì per Asti il giorno 29.

image-1Cerimoniale
Carlo Alberto abolì il baciamano al re e istituì le udienze private, due ore alla settimana, aperte anche ai privati cittadini.
Il tragico ballo di Carnevale
Il 30 gennaio 1865, quando era ancora fresca la ferita per la strage di piazza San Carlo venne organizzato il tradizionale ballo di Carnevale a Corte. Alcuni cittadini accolsero le carrozze degli invitati con insulti, diretti soprattutto a re Vittorio Emanuele II, uova marce e ortaggi. Le forze dell’ordine, dopo quanto era avvenuto pochi mesi prima, preferirono non intervenire anche se alcuni valletti e cocchieri furono malmenati. Il ballo andò quasi deserto, il ministro dell’interni Lanza presentò le dimissioni che furono respinte dal re che dal canto suo si offese con la città “che non lo meritava”. All’alba del 3 febbraio Vittorio Emanuele partì per Firenze, accompagnato da Lamarmora, evitando ogni contatto “con quella gente”.
Il re si riconciliò con i torinesi, che inviarono a Firenze una delegazione guidata dal sindaco, proprio grazie alla mediazione di Lanza. In quell’occasione dopo una severa romanzina il re si commosse e si mise a piangere. Il 23 ritornava a Torino.

Approfondimento: la giornata di re Carlo Alberto

Approfondimento: la vita alla corte di Carlo Alberto

Il principe moschettiere
Una volta sposato Vittorio Emanuele conservò le abitudini di scapolo e, poiché ora aveva maggior libertà, si creò una vita tutta sua, anche per controbilanciare la monotonia di quella imposta a palazzo reale.
Nella reggia era il principe ereditario, marito amoroso e figlio rispettoso, non appena fuori i suoi istinti naturali, i gusti repressi, scattavano violentemente e diventava come un moschettiere raccontato dal Dumas.

Il principe guascone
Per avere un’idea del carattere e dello spirito guascone di Vittorio Emanuele II, c’è un episodio narrato dal suo amico e capo di stato maggiore Enrico Della Rocca, durante l’infuriare della battaglia di Goito: “Udivasi, dove ci trovavamo il Duca e io, un sibilare acutissimo di palle, che come grandine cadevano passando sul nostro capo, sotto le braccia, tra le zampe dei cavalli e nelle file tra uomo e uomo, gettandone parecchi a terra. Ciò vedendo, mi chinai verso il Duca, e a mezza voce gli dissi:
«Credo che stasera ci troveremo insieme a cà d’ Bergniff» (cioè il diavolo. Nell’espressione piemontese in tono scherzoso e bonario.)
«Niente affatto», mi rispose egli, «ho tutt’altra intenzione. V’è qualcuno che stasera m’aspetta a Volta, e non è Bergniff !».
Mentre così scherzavamo tra la pioggia delle palle, vedo il Duca portarsi la mano al fianco destro, dicendomi nello stesso tono scherzoso:
«Sono ferito!».

Vedi l'approfondimento: Vittorio Emanuele II e le donne

Leggi: la figlia del tamburo maggiore

Lo scià dorme per terra
Il 24 luglio 1873 lo Scià di Persia, Nasr el Din, è a Torino. Fa scalpore il fatto che lo Scià si faccia preparare a palazzo Reale un letto sopra un materasso di crine steso su un gran tappeto. Anche il seguito si corica alla stessa maniera, ad eccezione dei domestici che si sdraiano per terra.

image-1A palazzo Reale il primo albero di Natale
La regina Margherita, nel 1884, a seguito dei racconti di Marco Minghetti sulle usanze nordiche, comprò personalmente nastri colorati e fili d’argento nella merceria di piazza Castello (era a fianco di Mulassano) addobbando il primo albero di Natale. Moda che prese suibito piede, difatti ne venne realizzato un altro all’inizio di via Po.

 

 

 

 

 

 

I figli della mano sinistra
Re Vittorio Emanuele II ebbe, con sua moglie Maria Adelaide, che era anche sua cugina prima, otto figli. La regina non sopravvisse all’ottava gravidanza e morì, a soli trentatré anni, mettendo al mondo l’ultimo bambino che le sopravvisse per solo quattro mesi. Anche il figlio Carlo Alberto, nato nel 1851, morì a soli quattro anni, mentre un altro nato nel 1852 morì quasi subito. Il quartogenito Oddone nacque gobbo e deforme e visse solo vent’anni.
Ben diversa la sorte dei figli avuti con Rosa Vercellana, la Bela Rosin. Come racconta l’ambasciatore svizzero Tourte il re una volta, mostrandogli i figli della Rosin, che lui chiamava “i figli della mano sinistra” gli confidò: “Guardate che bel sangue! Che vigore! Ecco cosa produce il connubio con una figlia del popolo, mentre i figli che ho avuto dall’arciduchessa d’Austria sono, ahimè, ben lontani da essere così vigorosi”.

Matrimonio funesto
Il 30 maggio 1867, nella cappella di Palazzo reale, il principe Amedeo sposò Maria Vittoria Dal Pozzo della Cisterna. Questo giorno risultò particolarmente funesto: mentre la sposa si preparava una delle sue dame fu trovata impiccata a un lampadario; il colonnello che scortava la sposa a Palazzo reale cadde da cavallo e morì sul colpo; subito dopo la firma degli sposi l’ufficiale di stato civile ebbe un infarto. Infine Francesco Verasis di Castiglione, marito della celebre contessa, mentre accompagnava gli sposi verso Stupinigi, dove si sarebbe celebrato il pranzo di nozze, cadde da cavallo finendo sotto le ruote della carrozza, trovando una morte orribile.

image-1La corte scandiva i ritmi della vita cittadina
Il 26 dicembre segnava l’inizio del periodo di svago e di intrattenimento cittadino più importante dell’anno. Proprio in questo periodo iniziava la stagione al Regio, aperto fino a Carnevale per chiudere di nuovo fino al Natale successivo.
Tra metà novembre e metà aprile iniziava così la parte più vivace della vita sociale che, negli altri sette mesi dell’anno, era sostanzialmente ridotta. Questo perchè la capitale seguiva l’andamento della Corte che non era limitata alla famiglia reale, ma ad una vasta schiera di personaggi, dagli esponenti del governo ai membri delle famiglie nobiliari, i quali muovevano un indotto (artigiani, artisti, manifatturieri, mercanti e servitù) che comprendeva quasi metà della popolazione cittadina.
Le festività natalizie iniziavano il 6 dicembre, a San Nicola, quando si scambiavano i regali, che venivano posti dentro gli “zapati” (grandi scarpe decorate).
Fino a Capodanno a Palazzo Reale si celebrava il tradizionale rituale del “baciamano” al Sovrano, un simbolico atto di devozione al monarca (e di riconoscimento reciproco) che riguardava tutti i membri della Corte.
Per decenni, nel Seicento il primo dell’anno cominciava con un corteo della Corte fino alla chiesa dei Santi Martiri, lungo la contrada di Dora Grossa (l’attuale via Garibaldi), per una messa che coinvolgeva simbolicamente tutta la città.
Oltre alla stagione del Regio, iniziavano tutti gli altri spettacoli. L’Epifania arrivava proprio nel mezzo di questo periodo di feste e di avvenimenti mondani, compresi i balli di corte.
La sera del 5 gennaio si teneva il “pranzo della Focaccia”, con la focaccia che conteneva nell’impasto una fava, oggi soppiantata da una mandorla intera.
Il 6 gennaio si festeggiava la “Festa dei Tre Re” (i Re Magi), la “Fête des Rois”, come in Francia, in Spagna o in Provenza.
Si trattava anche della data che dava inizio al periodo più gioioso: il Carnevale. Con la Quaresima, poi, tutto sarebbe cambiato. Feste e teatri avrebbero chiuso, i balli vietati, interdetta ogni manifestazione di festa o di giubilo. E’ questo il motivo per cui il colore viola della liturgia quaresimale, ancora oggi per il mondo dello spettacolo porta sfortuna. Dopo la Pasqua, la Corte era già in procinto di lasciare nuovamente la città per la lunga villeggiatura, fino all’autunno, interrotta solo dalla festa del patrono, San Giovanni.

La suonatrice di tamburino
Alla corte dei Savoia la musica ebbe sempre grande importanza sia per le composizioni religiose, sia per quelle profane. Già alla fine del XV secolo, era attiva una piccola compagnia di menestrelli al servizio della famiglia ducale. Lo stipendio annuo che i musici percepivano era di 100 fiorini (anno 1483).
Alla compagnia «stabile» sovente si univano, per uno spettacolo o per una festa, dei suonatori ambulanti (detti «itineranti»).
Nell'anno 1500 le cronache ci riportano persino il nome di una donna - fatto piuttosto notevole, per l'epoca - suonatrice di tamburi­no: si chiamava Isabella Proli.
Gli spettacoli ed i concerti, assai frequenti, avevano periodi d'alle­stimento ricorrenti: il Natale, il Carnevale ed i mesi estivi (allorché i Duchi si recavano in villeggiatura nelle «ville» di Pinerolo, Rivoli, Moncalieri) ma non mancavano d'allietare matrimoni, battesimi ed altre ricorrenze importanti.
Proprio un matrimonio - quello di Carlo Emanuele con Caterina d'Austria, nel 1585 - segna l'inizio, in città, delle rappresentazioni teatrali in musica vere e proprie. Venne rappresentata in quell'occa­sione la favola pastorale «Il Pastor fido» del Guarini.

Sinfonia suonata, in perfetta sintonia, da musicisti divisi in tre diverse gallerie
L'inglese Charles Burney visitò la città nel 1770 per documentare il suo libro "History of Music" che riporta apprezzamenti soprattutto per la scuola violinistica torinese.
Narra anche alcune particolarità: "Il «maestro di Cappella» del Re di Sardegna è don Quirico Gasparini.
Tutte le mattine, fra le undici e le dodici, l'orchestra del Re suona una sinfonia. I suonatori sono divisi in tre gruppi, situati in tre diverse gallerie; e benchè siano molto separati l'un gruppo dall'altro, i suo­natori sanno così bene quel che devono fare che non han bisogno di chi batta il tempo, come è necessario all'Opera ed al «Concerto spirituale» di Parigi, (Il primo violino, allora, dava il tempo, pur suonando). Il Re, la famiglia Reale e l'intera città, sembrano di essere assidui alla messa; e nei giorni ordinari tutta la loro devo­zione è silenziosamente rivolta alla messa bassa, durante la sinfonia.
Nei giorni festivi il signor Pugnani suona da solista, o i Besozzi suonano un duetto, e qualche volta, si odono mottetti a più voci. L'organo è nella galleria di fronte al Re, ed ivi prende posto il primo violino".

image-1Il mancato assassino diventa deputato
Antonio Gallenga di Parma, dopo il fallimento dei moti del 1831 andò esule in Corsica, poi a Genova dove aderì alla “Giovane Italia”.
Nell’agosto del 1833, Mazzini gli fornì denaro (mille lire), lettere di presentazione ed un pugnale per venire a Torino sotto il falso nome di Luigi Mariotti, con l’intento di assassinare Carlo Alberto.
Riuscì a fare un sopralluogo nel corridoio di palazzo reale che il re, ogni domenica, percorreva per andare a messa, prevedendo di colpire la settimana successiva. Ma l’arresto di un altro mazziniano, un certo Angelini, rimandò il tutto e Gallenga sparì.
Nel 1839 lo troviamo a Londra, pare sempre in contatto con Mazzini. Nel 1848 rientrò in Italia per l'annessione di Parma al Regno di Sardegna. Nel 1854, appoggiato da Cavour, venne eletto deputato deputato.
La sua opera "Storia del Piemonte" in tre volumi gli meritò la croce di cavaliere di San Maurizio e San Lazzaro anche se oltre a rivelare il suo tentativo di uccidere Carlo Alberto scrisse: ”Vi è troppa prontezza nel Piemonte a tradire, a confermare anzi la propria inferiorità alle altre genti italiane in ogni ramo di lettere, di scienze e d’arti; troppa rigidezza e supinità macedonia, se non affatto obesità e ottusezza beotica”.
Le polemiche che ne seguirono, però, lo costrinsero alle dimissioni.
Successivamente venne rieletto due volte poi fu corrispondente del Times per vent'anni. Seguì la seconda guerra d'indipendenza, la spedizione dei Mille, la guerra di secessione americana, la guerra austro-prussiana e la guerra franco-prussiana.
Nel 1890 andò a vivere con la seconda moglie, l'irlandese Ann Johnstone, nel Galles, dove morì nel 1895 all'età di 85 anni.

image-1Armeria Reale
In piazza Castello 191 occupa la galleria disegnata da Benedetto Alfieri e dipinta dal Beaumont. Aperta da Carlo Alberto nel 1833 ospita una delle più importanti collezioni di armi antiche. Impressionò particolarmente il giovane Gustave Flaubert e Leone Tolstoj.

 

 

L’autoritratto di Leonardo
Al piano terra della galleria che ospita l’Armeria Reale: la biblioteca Reale, fondata da Carlo Alberto nel 1837, custodisce uno dei disegni più famosi al mondo: l’Autoritratto a sanguigna di Leonardo da Vinci. Fa parte di una collezione unica di oltre 200 mila oggetti, tra volumi, incisioni e disegni che comprendono anche il Codice di volo degli uccelli sempre di Leonardo da Vinci.

L’amico del re
Nel 1930 morì Nicola Brancaccio, l’unico vero amico di Vittorio Emanuele III, il solo che gli dava del tu, che il re aveva voluto alla direzione della Biblioteca Reale.
Durante la 1° guerra mondiale Brancaccio era stato a Parigi come capo del servizio d’informazioni, propaganda e come addetto militare.

 

 

 

 

 

Approfondimento: 1840-45 anni tranquilli a Palazzo Reale, praticamente incustodito.

image-1Dichiarazione di guerra
Il 23 marzo 1848 alle due di notte gli inviati milanesi parlano dal balcone dell’albergo Europa, con la gente che attendeva nell’antistante piazza Castello, poi si apre la loggia reale, nella foto, e Carlo Alberto sventola il tricolore. E’ l’inizio della I° guerra d’Indipendenza.

 

 


image-1Archivi di Corte
In piazza Castello 209. Uno dei pochi ad essere nato con questa funzione e a svolgerla ancora oggi come Archivio di Stato. Realizzato dallo Juvarra nel 1731 con ambienti e arredi funzionali alla sua destinazione. Gli armadi in uso ancora oggi sono gli stessi disegnati dalllo Juvarra, ricostruiti nell’800.




 

 

 


image-1image-1I giardini reali
A primavera si aprivano al pubblico, si poteva entrare con “abito assai decente”, con cappello a cilindro, vietato il fumo e i bastoni da passeggio, l’ingresso ai soldati semplici e ai servitori in livrea (disposizione in atto fino al 1848).




image-1Nel giardino la Fontana di Nereide e i Tritoni, più semplicemente chiamata "Fontana dei Tritoni" è un'opera raffigurante figure mitologiche: una Nereide (ninfa marina) circondata da Tritoni (i figli del dio Poseidone). La vasca è circondata da dodici statuette di esseri metà umani e metà acquatici. L'opera fu concepita dallo scultore di corte Simone Martinez (1689-1768) nel 1765-1768.

Triste degrado di tutto il complesso verde si ebbe durante il periodo napoleonico, durante il quale non mancarono le spoliazioni ed i saccheggi, terminati soltanto nel 1805, a seguito della nomina del giardino a Parco Imperiale. Prima del ritorno dei Savoia, a seguito della Restaurazione, Giuseppe Battista Piacenza ebbe l'incarico di restaurare alcune statue settecentesche raffiguranti le Quattro Stagioni e i grandi vasi celebrativi provenienti dalla Reggia di Venaria Reale, e sostanzialmente questa fu l'ultima grande modifica che subì il giardino; ancora qualche statua venne posta verso fine Ottocento, quando per volontà di Vittorio Emanuele II si posero qui le raffigurazioni marmoree di Amedeo VI di Savoia, Vittorio Amedeo I e Vittorio Amedeo II, ma lo spostamento della capitale a Roma ridusse drasticamente l'importanza del luogo.

Approfondimento: Vittorio Emanuele II cade da cavallo nei giardini reali

image-1Pietre preziose
Nel boschetto ottocentesco dei Giardini Reali si trova l'istallazione “Pietre Preziose” dell'artista Giulio Paolini, commissionata dalla Consulta per la valorizzazione dei beni artistici e culturali e dalla Reale Mutua per festeggiare i trent’anni dell’Associazione. L’opera recupera alcuni frammenti lapidei originali della Cappella della Santa Sindone, il capolavoro di Guarino Guarini, recuperati dopo l’incendio del 1997, disposti da Paolini su una sorta di pianta che evoca quella guariniana, composta da intarsi in granito e pietra lavica. Al centro la figura di un architetto in abiti settecenteschi che rimira la Cupola, a evocare il Guarini ma anche, ambiguamente, l’artista.

image-1image-1image-1I Carabinieri
Nel 1933, nel giardino Reale, venne inaugurata la statua al Carabiniere, di Edoardo Rubino, che con la sua forma ricorda la foggia del caratteristico copricapo dell’Arma.

La donna paracadutista
Il 29/6/1827 spettacolare ascensione in aerostato di Elisa Garnerin che poi scende a terra con un paracadute sui giardini Reali.

 

 

 

 

image-1image-1Il giardino zoologico
Nel 1777 dietro palazzo Madama venne allestito un piccolo giardino zoologico da Bartolomeo Bertani, ne facevano parte “varie bestie, cioè una chiamata Jena, altra Dromedario, altra Porco Spino, con quattro Scimie e tre cani”. Si poteva visitare con due tipi di biglietto, da 15 e 7 soldi.
Nel 1627 al parco del Viboccone (al Regio Parco) erano custoditi un leone, una tigre e un gattopardo.
Alla fine del Settecento a Stupinigi l’allevamento di cervi e fagiani fu l’inizio di una collezione che nei primi decenni dell’Ottocento si arricchì di numerosi animali esotici, pervenuti in regalo o mediante acquisti favoriti dall’intensificarsi dei contatti internazionali.
L’ospite più famoso fu l’elefante Fritz, inviato dal vicerè d’Egitto Mohamed Alì a Carlo Felice nel 1827 in cambio di 100 pecore merinos. Per anni fu il beniamino dei torinesi: beveva due pintoni di vino al giorno, masticava tabacco ed era goloso di castagne.
Poi gravando eccessivamente sul bilancio del Comune (17.000 lire annue) si pensò di cederlo ma i costi di trasporto erano troppo elevati così venne soppresso suscitando una protesta formale del Vicerè d’Egitto. Imbalsamato venne esposto al museo di Scienze Naturali.

image-1image-1image-1La Zona di Comando
Il palazzo di piazza Castello 191 - 205 nasce con le riforme di Vittorio Amedeo II (1666-1732) che dal 1684 crea la cosiddetta “zona di comando” della capitale sabauda: il nucleo centrale di governo, accanto al Palazzo Reale. su progetto di Filippo Juvarra. L’aspetto attuale (foto a fianco) e la connessione al sistema della zona di comando si devono al suo successore Benedetto Alfieri. Prima del trasferimento della capitale a Firenze, nel 1865, vi avevano sede i Ministeri di Grazia e Giustizia, della Guerra, dell’Interno e degli Esteri. Dal 1866 ospita la Prefettura.

image-1Nell’ambito dell'apparato statale sabaudo, la burocrazia iniziò ad occupare un ruolo determinante.
La Segreteria di Stato assunse così specifiche competenze in materia di relazioni con gli stati esteri, di sanità, di adeguato rifornimento di viveri, ma anche di commercio, di polizia e di cultura.
Un editto (17 febbraio 1717) ne ordina la competenze, con i rispettivi funzionari, in costante aumento numerico fino agli anni Ottanta del secolo. Per soddisfare le esigenze le funzioni dello stato vennero divise in tre sezioni: affari stranieri, affari interni, affari della guerra che necessitavano di una sede adeguata. I lavori iniziarono nel 1732 (sotto Carlo Emanuele III, succeduto al padre due anni prima), con la partenza di Juvarra per Madrid (1734) e la ripresa, dal 1738, del cantiere da parte del nuovo Primo Architetto Regio, Benedetto Alfieri (1699-1767), impegnato nella progettazione del Teatro Regio (dal 1738), anche le Segreterie mutano di aspetto rispetto al progetto juvarriano proprio in funzione del loro ruolo di connessione tra teatro e Palazzo Reale. Alfieri prevede nel contempo un ampliamento degli uffici e l’aggiunta della fascia corrispondente al portico del piano terreno.

image-1Nel 1739 il corpo di fabbrica è coperto e nel 1741 si termina anche il nuovo scalone dell’Armeria; entro il 1756 le Regie Segreterie sono compiute. Vi operarono personaggi come Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861), del quale si conserva restaurato lo studiolo.
Il palazzo ospita il Prefetto e dal 1872 (in affitto), poi dal 1885 per acquisto, la sede della Provincia di Torino. Per rispondere alle nuove esigenze, nel 1906 il palazzo è sopraelevato; negli anni 1912-1916 è aperto al piano terreno, con un varco, per permettere la connessione diretta con i Giardini Reali.

Proprio da questo palazzo ebbe origine, nel settembre del 1864, quella che fu poi denominata:
la Strage di Torino.
Leggi l'approfondimento su: La strage di piazza Castello e di piazza San Carlo

 


image-1I ministeri nella Zona di Comando
Nel tratto di piazza Castello compreso tra palazzo Reale e il teatro Regio avevano sede buona parte dei ministeri del regno sabaudo: Affari Esteri, Interni, Guerra, Marina, Giustizia e Finanze al 3.
Il ministero dell’Istruzione era in via Po (palazzo dell’Università), mentre i Lavori Pubblici erano in p. San Carlo 39 (nel locale delle Carmelitane). L’Agricoltura, Industria e Commercio in v. Consolata 1.
Dopo il trasferimento della capitale ospita la Prefettura.



image-1Ministri
Elenco dei capi del governo e dei ministri dell'interno che operarono nella zona di comando di piazza Castello

 

 

 

 

 


Il suicidio del ministro
Il conte Giuseppe Barbaroux (1772 -1843) era avvocato,poi ambasciatore presso il papa; nel 1831 Carlo Alberto gli affidò il ministero della Giustizia e l’incarico di riformare il codice sabaudo in senso progressista; ciò gli attirò antipatie e critiche, senza che il re lo difendesse; si ritirò a vita privata e, profondamente amareggiato ed isolato, finì la sua esistenza gettandosi da una finestra del palazzo del Governo (Segreterie di Stato).

 

 


image-1Il dito portafortuna
Sotto i portici della Prefettura (ex zona di comando) la scultura commemorativa di Cristoforo Colombo. Secondo la scaramanzia toccare il suo dito mignolo porterebbe fortuna agli studenti che devono sostenere un esame.

 

 



procedi verso ovest (D) - verso sud (L) - verso sud (M)