Atlante di Torino


 

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image-1image-1102 - Palazzo Campana
Inizialmente doveva essere l’oratorio di San Filippo Neri, nel 1801 fu caserma dei veliti del principe Borghese, poi ufficio Centrale delle Poste e Telegrafi fino al 1910, quindi Ministero del Lavoro, Genio Civile e Officina Carte Valori. Durante il ventennio ospitò la Federazione dei Fasci di Combattimento (Casa del Fascio) e Mussolini tenne un discorso dal balcone sulla piazza Carlo Alberto. Nei sotterranei le celle dove venivano interrogati i prigionieri. La denominazione di Campana deriva dal soprannome del partigiano Felice Cordero marchese di Pamparato, detto “Campana” (foto al centro) impiccato nel 1945 in corso Vinzaglio angolo via Cernaia. Dopo la guerra fu sede universitaria, teatro di manifestazioni e scontri durante il ‘68.

image-1102 - L’occupazione che avvia la rivolta
Il 28/11 una parte degli studenti decise di occupare Palazzo Campana, al tempo sede delle facoltà umanistiche.
La causa fu la decisione di spostare tutte le facoltà universitarie in una "Città degli Studi" all'interno della tenuta de La Mandria. Questo episodio fu l’anteprima del 68 studentesco.

 

 

 



102 - Vecchia Guardia di Napoleone
Napoleone, con un decreto imperiale del 24 marzo 1809, istituì due battaglioni di veliti (truppe leggere): uno a Torino per suo cognato Borghese e l’altro a Firenze per sua sorella Elisa.
Ognuno era composto da un effettivo di 600 uomini, coscritti tra la gioventù italiana appartente alla 27°, 28° e 29° divisioni militare, vale a dire ai dipartimenti del Po, della Stura, della Sesia, della Dora, di Montenotte, degli Appennini, di Marengo e del Taro.
La ferma assicurava ai soldati, o alle loro famiglie, una rendita annuale di 200 Franchi.
Questi due battaglioni italiani saranno costuiti effettivamente solo l’anno dopo.Buona parte dei quadri del battaglione di Torino vengono prelevati dai granatieri a piedi della Vecchia Guardia per assumere principalmente compiti di guardia a palazzo. In riconoscimento dei loro servizi l’imperatore assegnerà loro un’Aquila dell’Impero.

 

image-1image-1image-1image-1102 – San Filippo
E’ la chiesa più grande di Torino, misura 69 metri di lunghezza e 37 di larghezza; voluta dalla congregazione dei Padri dell’Oratorio, fondata da San Filippo Neri nel 1552. Il primo progetto dell’isolato prevedeva per la chiesa un piccolo sagrato sull’attuale via Maria Vittoria.

image-1All’inizio del Settecento la chiesa ha una copertura quasi ultimata e una cupola centrale; i bombardamenti durante l’assedio del 1706, poi i problemi di stabilità, dovuti probabilmente a fondazioni imperfette, nel 1714 causarono il crollo dell’ardita cupola progettata da Guarino Guarini.











image-1Per oltre 100 anni, fino al 1780 nei sotterranei vennero seppelliti i padri Filippini e i parrocchiani.
Venne ultimata da Giuseppe Maria Talucchi e da Ernesto Camusso nell’800. Era la chiesa di Sebastiano Valfrè.
Il conte Gaetano Bava di San Paolo (1737-1830), durante l’occupazione francese, riuscì a impedire che venisse sconsacrata e trasformata, secondo il volere del generale Menou, in un teatro.
Nel gennaio del 1945 una bomba partigiana, predisposta contro una manifestazione fascista, uccise il sagrestano.

 

 


Vedi la pagina di approfondimento sulla chiesa di San Filippo

Vedi l'Oratorio di San Filippo restaurato

Vedi le immagini del campanile, della cupoletta di San Filippo e dei loro panorami sulla città

Vedi l'Archivio Storico del beato Sebastiano Valfrè in San Filippo

Vedi la gigapanoramica interattiva dell'altare della Beata Vergine a San Filippo

Vedi la Pala dell'Altar maggiore dipinta dal Maratta dopo il restauro

102 – Il matrimonio di mezzanotte
Urbano Rattazzi, sposò nel 1863, Maria Wyse Bonaparte (1833-1902), al suo secondo matrimonio, figlia del diplomatico inglese Thomas Wise e Letizia Bonaparte, nipote di Napoleone.
Lei, vedova del principe Solms, già amante del conte Alexis di Pommereu, ebbe una relazione breve ma intensa con Vittorio Emanuele II.
Victor Hugo l’aveva ribattezzata la sua Rodope perchè in lei vedeva la reincarnazione della cortigiana greca. Nata nel 1838 in Irlanda, accettò di sposare il vecchio Federico di Solms, pare per ripicca alla madre. Un anno dopo le nozze i due si dividevano. Ebbe quindi vita tumultuosa alla corte di Francia da cui infine venne espulsa.
Rattazzi che, aveva sentito le voci della relazione col re, chiese proprio a Vittorio Emanuele il suo parere sulle passate vicende amorose della moglie, il re gli rispose che lui non aveva sentito nessuna voce, quando il leader dei liberali insistette dicendo che queste voci la accostavano proprio a lui, Vittorio Emanuele chiuse con un lapidario: “Su ciò non ho memoria fresca!”
Nel 1863 il matrimonio con Rattazzi avvenne a mezzanotte nella chiesa di San Filippo.
Olivia Savio nelle sue memorie la ricorda così: “... è un tipo che, per fortuna in Italia non esiste... senza regola, nè misura, nè dignità, nè buon senso. Scrive, parla e veste stupendamente, ma su sei parole dice almeno tre bugie. veste scollata da far chiudere gli occhi...”
Dopo la morte di Rattazzi si risposò per la terza volta diventando marchesa De Rute.

102 - Uffici del Governo
In questo isolato nel XIX secolo hanno avuto sede il Ministero dei Lavori Pubblici, poi l'Officina governativa Carte e Valori e la Direzione delle Regie Poste (con ingresso da via Principe Amedeo 10)

La cacciata dei templari
Per la costruzione del castello di Porta Fibellona venne demolita la chiesa di San Se­vero, proprietà dei Templari in Torino. I cava­lieri crociati possedevano due chiese con ospizio per i viandanti ed i pellegrini, poco fuori della Porta Fibellona.
San Severo, la prima chiesa, sorgeva presso uno stagno chiamato la Piscina delle rane, sull'area dove ora c'è Pa­lazzo Carignano.
La seconda chiesa, Santa Margherita, sor­geva sull'attuale sito del Palazzo Carpano, all'angolo tra le vie Lagrange e Maria Vittoria.
La demolizione fu possibile perché l'Ordine Templare era stato abolito nel 1312 e tutti i suoi beni erano stati sequestrati e passati all'Ordine gemello dei cavalieri Gerosolimitani.

103 - Palazzo Asinari di San Marzano
In via Maria Vittoria 4, realizzato alla fine del Seicento. Particolarmente scenografico l’atrio. Il palazzo, sede della Carpano, era luogo d’incontro di letterati e politici.
Nell’800 ospitò l’Ambasciata di Francia.

  • Palazzo Asinari di S.Marzano via Maria Vittoria 4 ai primi del '900
  • portone
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Palazzo Asinari di S.Marzano via Maria Vittoria 4 ai primi del '9001 portone 2 particolare del portone3 palazzo Asinari di S.Marzano4 particolare del portone5
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103 - Negozio storico
In via Lagrange 1, quasi angolo via Maria Vittoria, nel Palazzo Asinari di San Marzano, poi Palazzo Carpano, dal 2007 c’è il punto vendita della cioccolateria di tradizione famigliare Guido Gobino Cioccolateria Artigiana.
Il locale ha conservato la facciata di primo Novecento e il sobrio arredo originale, boiserie e scaffalature, della storica ditta Villarboito Timbri, tipografia aperta nel 1887 in via Genova, e poi in Piazza Castello e Via Micca.
I locali conservano sino al 2001 arredi, macchinari e campionature del primo quarto del Novecento.
La grande insegna modanata recita ancora “Carlo Villarboito e figli” sovrasta due vetrine laterali; ai lati della vetrina principale d’ingresso due cartigli in bronzo illustrano le diverse produzioni della ditta Villarboito, su cui oggi sono sovrapposte insegne (sapientemente realizzate in cristallo) di Gobino.

103 - Storica cancelleria
Su La Stampa del 31.12.2010 si legge: "Dopo quasi novant’anni di attività, «Da Vagnino c’è» non c’è più. Oggi infatti la catena di cartolerie nata nel cuore di Torino vivrà l’ultimo atto di una storia cominciata nel 1922, quando, in via Lagrange 3, per opera di Francesco Vagnino, nasceva il primo negozio di cancelleria, forniture per ufficio e materiale da disegno della famiglia. L’ambizioso progetto si avvaleva di uno scrupoloso credo commerciale che Vagnino definiva così: «La mia soddisfazione è la soddisfazione del cliente soddisfatto e la fiducia del pubblico è cosa sacra». Una filosofia tramandata al figlio Riccardo, che nei primi Anni 60 ha assunto la direzione dell’azienda. Nello stesso periodo Vagnino apriva un nuovo negozio in corso Francia, seguendo una strategia di espansione aziendale che nel 1972 sfocerà in un’altra apertura a Mirafiori. Ancora, a metà degli Anni 80 supererà i confini di Torino e del Piemonte inaugurando un centro anche ad Aosta, al quale si aggiungerà nel 1997 quello di via Genova (zona Bengasi, che verrà poi spostato nel 2009 in corso Stati Uniti). Non finisce qui: nel 2001 verrà aperto il punto vendita in corso Agnelli, seguito nel 2002 dal negozio di via Cibrario, per arrivare al 2005, anno di avvio del nuovo centro specializzato in corso Montecucco. In tutto, sette punti vendita, che oggi in un colpo solo verranno definitivamente chiusi, lasciando a casa 28 dipendenti. «Le abbiamo provate tutte per rimanere competitivi sul mercato», dichiara Aldo Gravina, prima amministratore e ora liquidatore dell’azienda, «investendo 5 milioni di euro (della famiglia Vagnino) in sedici anni, ma è stato tutto inutile: siamo stati travolti dalla crisi economico-finanziaria mondiale, dalla concorrenza sregolata - soprattutto degli ipermercati - e anche, in un certo senso, dalla nostra serietà»". Lo storico negozio di Vagnino è stato sostituito da Eataly.

103 - Tipografia storica
In via dell'Ospedale 3 (ora Giolitti) ebbe sede la tipografia Bona che iniziò la sua attività nel 1777.
Vedi l'approfondimento sulla tipografia Bona

103 - Impiccato in effige
Un aneddoto racconta come il re avesse un occhio di riguardo verso i nobili che avevano partecipato ai moti del 1820-21 che richiedevano la Costituzione.
Il marchese di San Marzano, essendo fuggito in Francia dopo la fallita rivolta era stato impiccato in effige. Dovendo risolvere alcuni affari urgenti tornò di nascosto in città, però venne scoperto.
Il capo della polizia lo condusse davanti al re, ma questi guardandolo in viso gli rispose con un tono che non ammetteva repliche: ”Ma che cosa dice mai! Il San Marzano a Torino? Egli è stato impiccato e un impiccato non si muove più!”

image-1103 - Palazzo Birago di Borgaro
In via Carlo Alberto 16, appartenne a una delle casate più note, sia in Francia che in Italia.
Augusto Renato acquistò il terreno dell´isola Sant´Aimo dal marchese Giovanni Domenico Quadrio di Ceresole e costruì (1716) il palazzo (via Carlo Alberto 16). Avendo perduto i due figli, adottò Renato Birago di Vische figlio naturale dell’architetto che aveva partecipato ai lavori del palazzo.
Renato di Vische (1721-1783) divenne anche lui architetto collaborando alla realizzazione dei Quartieri Militari di via del Carmine e del palazzo Costa di Trinità, in via San Francesco da Paola angolo piazzale Valdo Fusi. Ebbe dieci figli maschi. Suo erede fu Luigi Renato, sindaco nel difficile anno 1796, noto soprattutto per la facilità con cui spendeva il denaro organizzando grandiose feste da ballo.
Nell’800 Birago acquista il parco di Villa Genèro e costruisce due grandi palazzi in via Vanchiglia.
Nel 1858 Gustavo Birago Alfieri oberato dai debitii lo vende per 246.000 lire (circa un milione di Euro).

103 - I quadri del grande condottiero
In via Maria Vittoria 10 abitò Maria Anna Vittori di Soissons, nipote del principe Eugenio, vincitore della battaglia di Torino (1706). Ne fu l’unica erede di una cospicua fortuna che comprendeva magnifici quadri che rivendette (1741) al re di Sardegna per 400 mila fiorini. La collezione ora fa parte della Galleria Sabauda, aperta al pubblico nel 1832 da Carlo Alberto. Morì nel 1763, ora le sue spoglie riposano nella cripta di Superga.

103 - Il primo gallerista
La casa in via San Filippo (Maria Vittoria) 10 era di proprietà del conte Cesare Della Chiesa di Benevello (1788-1853) che, nel 1842, insieme all’avvocato Luigi Rocca fondò la Società Promotrice di Belle Arti. Il D’Azeglio racconta che: “Egli fu dei primi in Torino che vedesse una differenza tra un artista e un artigiano”. Molto ricco aprì la sua casa soprattutto ai pittori, adibendo alcune soffitte a studi e un salone per le esposizioni.

image-1103 - Isola di Sant’Ajmo
In via Maria Vittoria 6 il palazzo Piovano di Mompantero, al numero 8 casa Martin.
In via Lagrange 7 il palazzo Gonteri di Cavaglià. Nel ‘600 Aimone era governatore delle Poste, Paolo ammiraglio del Po, primo maggiordomo del duca d’Anjou e luogotenente del re.

 

 

 

 

 


 

 

 



103 – La sartoria reale
Nel dicembre 1932 muore il cavaliere Felice Bellom Segrè, titolare di una famosa sartoria. Aperta dal padre nel 1860 in via Maria Vittoria, davanti a San Filippo, ebbe come clienti la Famiglia Reale e l’attrice Eleonora Duse.

image-1image-1104 - Inizia la pubblicità
Le prime due ditte che si ocuparono professionalmente di pubblicità (affissioni e pubblicazioni di annunci) avevano sede praticamente una di fronte all’altra in via Carlo Alberto 19 la Robiola e Comagni e al 22 la Casa Sam.

 

 

 

 


 

104 - Ufficiali in Congedo
Al n. 14 di via dell’Ospedale (Giolitti) alla fine dell’800 aveva sede il Circolo degli Ufficiali in Congedo

image-1L'innamorato non ha una buona mira
Il 23 gennaio 1880, in via Cavour 13, un innamorato disperato spara due colpi contro l'amata, mancandola. Poi scarica il resto dei colpi sotto il mento, senza però riuscire nell'intento di uccidersi.









112 – ll Landru torinese
Nel marzo del 1918 qui venne ucciso e fatto a pezzi il sacerdote don Guglielmo Gnavi (a destra). Il delitto fu scoperto quando un pescatore trovò una gamba nel Po. L’omicida, Pietro Balocco (a sinistra), soprannominato il “Landru” torinese venne condannato all’ergastolo. durante il processo non si dimostrò per nulla pentito, anzi si divertiva a fare l'occhiolino alle signore presenti.

 


Leggi l'approfondimento sulla vicenda del "Landru torinese"

 



112 – Gianni Minà
Trascorse la sua infanzia in via Maria Vittoria 11.

112 - via Bogino
Era denominata contrada degli Ambasciatori perché qui avevano sede le Ambasciate dei Paesi più importanti.

112 - Bomba al ristorante degli Artisti
Il 30 settembre 1944 in un attentato partigiano al Ristorante degli Artisti, in via Bogino 8, dove pranzano diversi militi fascisti, una bomba provoca 3 morti (tra cui il noto comico toscano Guido Tei) e 23 feriti. Per rappresaglia vengono fucilati in piazza Carlo Alberto i partigiani, Rocco La Rotonda, Giacomo Piovano, Mario Rachetto e Guerrino Zanardo, prelevati dal tribunale militare in corso Montevecchio dove era stato celebrato il processo nel corso della notte.

Leggi il memoriale difensivo del tenente Sisto Borla che comandò il plotone di esecuzione

 

112 - Casa di Cesare Balbo
Al numero 12 abitava Gian Battista Bogino (1701-1784) che morì al n. 31 della stessa via cui verrà poi attribuito il suo nome. Consigliere di Vittorio Amedeo II, ministro, organizzò la Marina Militare sabauda. Dal 1759 al 1773 fu incaricato dell’amministrazione della Sardegna, obbligando l’uso dell’italiano al posto dello spagnolo. Il Bogino lasciò la casa in eredità al figlio adottivo Prospero Balbo, che sarà sindaco e ambasciatore a Parigi. Qui nacque, visse e morì Cesare Balbo conte di Vinadio (1789-1853) uomo politico e storico, figlio di Prospero. Fondò, nel 1804, l’Accademia dei Concordi, in cui si delinearono le sue idee liberal-moderate. Fu al servizio di Napoleone, In seguito al moto liberale del 1821, al quale peraltro non aveva partecipato, fu esiliato. Dedicatosi agli studi storici, dopo la proclamazione dello Statuto albertino fu il primo presidente del consiglio del regno di Sardegna (13 marzo - 25 luglio 1848), e in seguito fu capo della Destra nel parlamento subalpino.

 



112 - Casa Brofferio
In questo palazzo, sul lato di via Principe Amedeo, nel 1817, abitava la famiglia di Angelo Brofferio redattore capo del Messaggero, autore teatrale e storico, autore della “Storia del Piemonte” e della “Storia del Parlamento Subalpino”.
Più tardi si trasferì in via San Francesco d’Assisi 13.

112 - Il primo Cinema
Nel 1899 in via Maria Vittoria 25 venne aperta la prima sala cinematografica cittadina.

image-1112 – Ghetto Vecchio
I documenti che testimoniano della presenza ebraica in città risalgono al 1424 anno in cui due medici, Elia Alamanno e Amedeo Foa arrivarono da Savigliano ottenendo il permesso di macellare secondo il rito ebraico e acquistare un terreno per seppellire i morti. Il duca Amedeo VIII di Savoia (antipapa col nome di Felice V) ritenne necessario emettere dei provvedimenti nei loro confronti, negli Statuta Sabaudiae del 17 giugno 1430, la condizione degli ebrei è regolamentata nel primo capitolo: viene loro concesso di vivere nel Ducato e di risiedere, oltre che nei centri minori, anche a Torino, per esercitare il commercio del denaro, vietato ai cristiani. Si introduce, ancora solo formalmente, la segregazione materiale degli ebrei, che non devono mescolarsi ai cristiani ma risiedere in un luogo isolato e sorvegliato, detto Judeasymus, nell’area dove più tardi sorgerà il Ritiro delle Rosine (vedi zona U- isolato 144), dal quale non possono uscire dal calare sino al sorgere del sole.
Non possono possedere beni immobili, devono portare un segno distintivo davanti e dietro la spalla sinistra, è loro vietato mostrarsi durante la Settimana Santa e avere servi cristiani. L’atteggiamento dei successori di Amedeo VIII oscillò tra la persecuzione e la tolleranza, a seconda delle necessità economiche.
image-1image-1Nel 1679 la seconda Madama Reale, Maria Giovanna di Nemours, duchessa reggente, istituì il ghetto, il primo e unico in Piemonte fino al 1723. Circa 750 persone si insediano nell’area dell’ex ospedale dei Mendicanti che occupava l’intero isolato del Beato Amedeo in Contrada San Filippo. Vi si accedeva principalmente da via San Filippo (Maria Vittoria), aveva 5 cortili (cortile grande, dei preti, della vite, della taverna e della terrazza), fra loro comunicanti tramite dei corridoi coperti (portici oscuri).
Nel cortile della terrazza c’era il forno per la cottura delle azzime, mentre nel sottosuolo del Cortile grande c’era la vasca per il bagno rituale. Ospitava due Sinagoghe, una nel cortile della vite e l’altra in quello grande.
La crescita della popolazione, più di mille persone, rese necessario nel 1724 l’ampliamento nel vicino isolato di San Benedetto, con ingresso in via del Moro (Des Ambrois) dove sorse una terza Sinagoga.
Durante il periodo napoleonico gli ebrei sono equiparati a tutti gli altri cittadini e si inseriscono nei vari settori della vita sociale e della pubblica amministrazione.
Nel 1814 torna in Piemonte Vittorio Emanuele I, il quale nelle regie patenti del 1° marzo 1816 esonera gli ebrei dal portare il segno, concede di esercitare ogni arte e mestiere, ma obbliga il rientro tassativo nel ghetto. Nel 1840 c’erano 212 famiglie (1.189 persone) divise in 527 ambienti. Erano soprattutto negozianti di stoffa, ambulanti e robivecchi. Nei meandri del ghetto c’erano molti piccoli negozi, molti di abiti e oggetti usati, alcuni famosi e utilizzati anche da famiglie nobili come il “Numero 60” di Abramo Levi; sotto i portici macellerie casher e pollerie.
Con Carlo Alberto gli ebrei ottengono i diritti civili e politici.
I regi Decreti del 29 marzo e 19 giugno 1848, successivi allo Statuto Albertino, sanciscono la definitiva emancipazione e la fine del regime di segregazione; il ghetto si svuotò progressivamente, gli stabili venduti e ristrutturati; dell’antica destinazione rimangono i cancelli di ferro degli attuali ingressi.
Nel 1853 entra alla Camera il primo deputato ebreo: Isacco Artom (1829-1890) segretario di Cavour, nel 1862 ministro plenipotenziario a Copenhaghen, primo ebreo d’Europa a ricoprire una carica di diplomatico all’estero.
Nel 1854 una turba di dimostranti contrari a Cavour (colpevole di essere amico degli Ebrei) tentò di assaltare il ghetto. Fu lo stesso primo ministro, che passava nelle vicinanze, a chiamare la polizia che disperse I facinorosi.
A fine ottocento era nota la trattoria Bachi, frequentata soprattutto dagli studenti ebrei.
Durante il nazismo furono 479 gli ebrei torinesi deportati nei campi di sterminio.

Leggi: la La «Cort Granda» al ghetto

112 - I salami di Parin
In via San Francesco da Paola (angolo via Maria Vittoria), si trovava il negozio di Claudio Pescarolo (detto Parin), dove venivano messi in vendita gustosissimi salami d’oca, oltre a oggetti religiosi e libri di preghiera. Claudio Pescarolo fu arrestato il 24 giugno 1944 e deportato ad Auschwitz, da dove non fece ritorno. Dopo la Liberazione il negozio si trasformò in macelleria De Andrea-Gambotto.

112 - Massoni
Nel 1898 in via Carlo Alberto 9 aveva sede la Società Massonica,





image-1image-1114 - Palazzo Dal Pozzo Cisterna
In via Maria Vittoria 12. Nel 1678 abbellito con giardino per volontà di Madama Reale
Nel 1681 ceduto a Giacomo Dal Pozzo, principe della Cisterna. I Dal Pozzo erano, fin al secolo precedente, raffinati collezionisti d’arte. Il personaggio più importante della famiglia fu Amedeo (1579-1644) ambasciatore.

Nel 1773 viene restaurato e dal 1873 abitazione dei duchi d’Aosta. Amedeo, figlio di Vittorio Emanuele II, dopo l’abdicazione come re di Spagna, rimasto vedovo si risposò con la principessa Letizia Napoleone, figlia di sua sorella Clotilde. Ebbero un figlio, Umberto, che morì al fronte nella I guerra mondiale dove era stato inviato, per punizione, come soldato semplice.
Nel 1940 la casata Savoia-Aosta lo vende all’amministrazione provinciale che, dopo la guerra, ne fa la propria sede

Vedi le immagini del palazzo Dal Pozzo Cisterna

114 - Commissariato straordinario
Palazzo Cisterna, in via Maria Vittoria 12, dal settembre del 1944, diventa sede del commissario straordinario per il Piemonte, il viceministro dell’interno della RSI Valerio Zerbino che cinque mesi dopo verrà nominato ministro dell’interno. Verrà fucilato a Dongo il 28 aprile del 1945.


114 - Il "duca di ferro" eroe dell'Amba Alagi
il 21/10/1898 qui nasce Amedeo di Savoia, duca d'Aosta, detto il "duca di ferro". Nella prima guerra mondiale si arruolò volontario, a soli 16 anni, come soldato semplice nel Reggimento artiglieria a cavallo "Voloire". Il padre Emanuele Filiberto lo presentò al generale Petitti di Roreto dicendo: "Nessun privilegio, sia trattato come gli altri”.

Poi studiò a Eton e Oxford. Nel 1921 fu “inviato” in Congo Belga a seguito di una sua battuta durante un ricevimento: all'apparire dei regnanti, avrebbe detto: "ecco Curtatone e Montanara". Il riferimento era sia alle battaglie risorgimentali, ma anche alla bassa statura di Vittorio Emanuele e alla provenienza della regina: il Montenegro. La battuta fu sentita e il giorno dopo, fu convocato il padre dal re e deciso l'allontanamento da corte. Amedeo si recò in Africa e si fece assumere sotto pseudonimo come operaio semplice in una fabbrica di sapone a Stanleyville (oggi Kisangani). Il 24 luglio 1925, rientrato in Italia, conseguì la licenza di pilota militare. Tornato in Africa meritò la medaglia d'argento al valor militare per le ardite azioni in volo sulla Cirenaica.

Dopo la conquista italiana del 1936, divenne viceré d'Etiopia. Dopo la seconda guerra italo-abissina, il 21 ottobre 1937 Amedeo di Savoia fu nominato governatore generale (e quindi comandante in capo) dell'Africa Orientale Italiana e viceré d'Etiopia. Nel 1941, di fronte alla travolgente avanzata degli inglesi nell'Africa Orientale Italiana, le poche truppe italiane rimaste al suo comando si ritirarono per organizzare l'ultima resistenza sulle montagne etiopi. Amedeo si asserragliò dal 17 aprile al 17 maggio 1941 sull'Amba Alagi con 7.000 uomini, una forza composta da carabinieri, avieri, marinai della base di Assab, 500 soldati della sanità e circa 3.000 militari delle truppe indigene.

Lo schieramento italiano venne ben presto stretto d'assedio dalle forze del generale Cunningham (39.000 uomini). Gli italiani, inferiori sia per numero che per mezzi, diedero prova di grande valore, ma, rimasti stremati dal freddo e dalla mancanza di munizioni e acqua, si dovettero arrendere. I militari di Sua Maestà Britannica, non solo in omaggio del comandante nemico appartenente alla migliore nobiltà europea, ma anche in segno di ammirazione per la fermezza da loro mostrata, resero gli onori delle armi ai superstiti, facendo conservare agli ufficiali la pistola d'ordinanza.S

114 - Nasce un futuro re
Il 9 marzo 1900 a palazzo Cisterna, in via Maria Vittoria 12, nacque Aimone IV duca d’Aosta. Nel 1941 fu designato re di Croazia, carica che accettò formalmente per obbedienza al re, ma che non assunse mai effettivamente.

image-1image-1114 - Albergo Sitea
Aperto negli anni 20 del ‘900 il Grand Hotel Sitea, sito in via Carlo Alberto 23 (ora 35), nel 2001 ha ottenuto il prestigioso riconoscimento di “Locale storico d‘Italia”.
Albergo di grande tradizione familiare ha sospeso l‘attività soltanto tra il ‘44 ed il ‘45 (per motivi bellici), ed ha sempre partecipato all‘evoluzione culturale e sociale della città, ha ospitato premi Nobel, scrittori di fama mondiale, musicisti del calibro di Louis Armstrong ed artisti dello spettacolo.

image-1114 - I fratelli Lamarmora
In via Bogino angolo via Maria Vittoria, nel 1796, la casa dei fratelli Lamarmora. La madre, Raffaella di Bersezio, vedova a 35 anni con 12 figli, offrì i 6 maschi a Napoleone perchè si occupasse della loro educazione, quattro diventeranno generali.
I più noti furono:
Alessandro (1799-1838), fondatore dei Bersaglieri che condusse per la prima volta in battaglia in Crimea, dove morì di colera;
Alfonso (1804-1838) che organizzò l’artiglieria piemontese, combattè a Peschiera, Custoza, divenne poi ministro della guerra e primo ministro. Abiterà poi in piazza Maria Teresa 3.

114 - Il grande architetto
Il conte Carlo Ceppi (1829 - 1921) abitava in via Bogino 20.

Vedi l'approfondimento su Carlo Ceppi, il creatore - tra l'altro - di via Pietro Micca

114 – La bella avvelenatrice
In via Maria Vittoria 16 ebbe luogo il delitto che, nel 1903, polarizzò l’attenzione della città: la bella Clementina Tosetti, lavorava come cameriera nella casa di Luigi De Medici, col quale allacciò una relazione, per poi avvelenarne la moglie, Ernesta Lardera, con l’arsenico. Dopo un processo seguitissimo la corte stabilì che i due erano d’accordo, condannò la Tosetti a 30 anni e il complice a 18.

vedi la monografia sulla contrada di San Filippo (via Maria Vittoria)

vedi altre immagini della contrada di San Filippo (via Maria Vittoria)

Il barone di ferro
Bettino Ricasoli (1809-1880) toscano, soprannominato “barone di ferro” confidava nel Piemonte come stato capace di coagulare politicamente una futura nazione italiana. Fu primo ministro dopo la morte di Cavour, continuando a imprimere una forte spinta unitaria al governo. Abitava al 2° piano di via Ospedale (Mazzini ) 11.
Al primo piano della stessa casa abitò Pietro Baricco, consigliere comunale e autore di una famosa guida della città nel 1869.

 

 

 

 

 

 

115 – L’imperatore illuminato
Nel palazzo San Giorgio di via Bogino 31, già residenza dell’architetto Ignazio Agliaudo Baroni Tavigliano, quindi Weill Weis, nel 1769 fu ospitato l’imperatore d’Austria Giuseppe II d’Asburgo che nel 1781 abolì le discriminazioni religiose nei confronti dei protestanti e degli ortodossi, favorì l’emancipazione degli ebrei, abolì la tortura, introdusse il matrimonio civile e la libertà di stampa. Ora è sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura.

 

 

 

115 - Bogino
Vittorio Amedeo II, prima di abdicare, volle sistemare i funzionari che meglio lo avevano servito. Narra il Cibrario che dopo aver nominato Gian Battista Bogino consigliere di stato, visto che non aveva sostanze, convocò suo zio prete, che aveva una casa in città, spingendolo a donarla al nipote, pur mantenendone l’usufrutto: “E’ una questione di parole che muta la sua condizione agli occhi del mondo”.

115 - Il ministro del Re
Al 29 di via Bogino nel 1874 morì il conte Giovan Battista Bogino, insigne statista, per oltre quarant'anni ministro e consigliere di Carlo Emanuele III.

 

 



115 - Il comando austriaco
Nel palazzo del marchese Taviliano poi San Giorgio, quindi Weill-Weiss, nel 1814, abitò il comandante delle truppe austriache, generale Bubna, che aveva preceduto di poco il ritorno di Vittorio Emanuele I, cacciando i francesi di Napoleone.
Parecchi militari austriaci addetti al servizio del generale alloggiarono, per alcuni mesi, al piano terreno del vicino palazzo Morozzo della Rocca.

115 - Club di Scherma
In via dell’Ospedale (Giolitti) 13 alla fine dell’800 aveva sede il Club di Scherma

115 - La casa dell’astronomo
L’astronomo Giovanni Plana (1781 – 1864) matematico, astronomo e senatore italiano, è stato uno dei più importanti scienziati italiani dell’Ottocento, abitava in via San Francesco da Paola 16.

 

 

 

 


image-1image-1116 - Palazzo Morozzo della Rocca
All’inizio del 600, prima dell’ampliamento, era una villa extra urbana. Già palazzo d’Agliano, quindi Morozzo della Rocca era in contrada dell’Ospedale (via Giolitti).



Costruito nel 1699 divenne sede del Consiglio Provinciale dell’Economia e della Borsa. Distrutto dai bombardamenti della II guerra mondiale al suo posto, nel 1952, sorse la Borsa Valori e nel 1964 il palazzo della Camera di Commercio.

 



Vedi le immagini del palazzo Morozzo della Rocca

116 - I muli del marchese
Il marchese Gaspare Morozzo, nonno di Enrico Morozzo della Rocca, al tempo dell’occupazione napoleonica, non nascondeva la sua insofferenza per il governo repubblicano. I francesi, per questo, lo perseguitavano con tasse e balzelli sempre crescenti. Arrivarono a sequestrargli tutta la sua scuderia di quindici cavalli con la motivazione: “Gioverà alla salute del cittadino Morozzo camminare a piedi”.
Così il marchese ordinò ai suoi fattori di trovare i muli più belli, li fece ripulire e li fece bardare riccamente, per poi girare per la città con il suo nuovo tiro a quattro, passando sfacciatamente sotto i palazzi del governo.

116 - Il nonno che non salutava i nipoti
Il marchese Gaspare Morozzo, aveva praticamente diseredato il figlio Carlo Filippo (padre di Enrico Morozzo della Rocca) che contro il suo volere aveva sposato la nobile, ma non ricca, Sofia Asinari di Gresy. Gli permise di alloggiare in un modesto appartamento nel palazzo di famiglia, ma non volle mai nemmeno conoscere i suoi nipoti. Quando li incontrava, non rispondeva al loro ossequioso saluto. Contrariamente al re Vittorio Emanuele I che, quando li incontrava passeggiando per via Po, riconoscendoli come figli di un suo fedele ufficiale, li salutava dicendo di riportare al padre il suo affettuoso “boundì.”

Vedi l'approfondimento di Enrico Morozzo della Rocca, scudiero di fiducia di Vittorio Emanuele II

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Il Palazzo degli Affari
Sorge in via San Francesco da Paola 24 (dove c'era il palazzo Morozzo della Rocca, distrutto dai bombardamenti della II guerra mondiale). Ospita gli uffici della Camera di Commercio. Progettato da Carlo Mollino, Carlo Graffi, Alberto Galardi e Antonio Migliasso. La realizzazione fu rimandata di alcuni anni e per il completamento si deve attendere il 1972.[ A partire dal 1992 la Camera di Commercio trasformò i piani interrati dell'edificio in un centro congressi denominato Torino Incontra, una delle cui sale è intitolata all'architetto Mollino. L'ampio piazzale antistante il palazzo (e la vicina Borsa Valori), dopo essere stato per molti anni occupato da un parcheggio a raso fu oggetto di una profonda trasformazione che si concluse nel 2004 con l'inaugurazione di un parcheggio coperto, sovrastato da una piazza pedonale (piazza Valdo Fusi).

116 - L'ambasciatore inglese
In contrada Dell'Ospedale 13 (attuale via Giolitti), nell'isola della SS. Annunziata, nel 1815 abitò Guglielmo Kill, inviato straordinario eministro plenipotenziario della Gran Bretagna presso la corte dei Savoia.

116 - A spasso con i muli
Al n. 28 di via Giolitti sorgeva il palazzo D’Agliano già Morozzo della Rocca dove alla fine del 700 viveva Gaspare Morozzo della Rocca, nonno del futuro generale Enrico. Quando i francesi gli requisirono tutti i suoi magnifici cavalli aggiunsero al danno le beffe, dicendo che era per la sua salute, perchè se andava a piedi era meglio. Lui fece venire dalle sue terre i migliori muli, li bardò elegantemente e organizzò un insolito tiro a quattro per girare in città.
Il palazzo, gravemente danneggiato dalle bombe della II guerra mondiale, venne inglobato in una costruzione moderna.

116 - L’autore di Mônssu Travet
In quello che fu il palazzo Morozzo della Rocca, al numero 24 di via Giolitti, abitò Vittorio Bersezio (1828-1900), letterato, drammaturgo, poeta dialettale, deputato fu l’autore del Mônssu Travet (rappresentato al Teatro Alfieri il 4 aprile 1863 dalla compagnia di G. Toselli). Fu direttore del quotidiano la Gazzetta Piemontese e del settimanale la Gazzetta letteraria.

Consulta il regolamento degli impiegati nel XIX secolo (detti appunto travet), una delle fonti di ispirazione di "Mônssu Travet"

 

 

 

 

 

116 - Severino Grattoni
(1815 - 1876). Architetto idraulico e civile. Nel 1852, all’interno del piano d’ingrandimento di Porta Nuova, progettò una serie di edifici destinati ad uso abitativo. Deputato. Abitava in via Ospedale 20 p. 2°

116 – Mario Soldati
Al n. 20 di via dell’Ospedale (Giolitti) nel 1906 (la vecchia casa non esiste più) nacque il regista e scrittore Mario Soldati. In gioventù fu protagonista di un coraggioso salvataggio, tuffandosi dai Murazzi del Po.

 

 

 

 

 

 

 

 




116 – La pittrice e il medico
In questo isolato abitava la pittrice Sofia Clerk Giordano (1799-1829) e qui nacque (1817-1894) suo figlio Scipione che fu medico insigne, alpinista e poeta.

 

 

 

 

 

 



116 – Il costruttore del ponte
Nel luglio 1867 muore nella sua casa di via Carlo Alberto 33, l’ingegner Carlo Bernardo Mosca (nato nel 1792) costruttore del ponte Mosca e di altri edifici.

116 – Un passaggio attraverso l’Annunziata
25 novembre 1952 – Con la parziale demolizione del palazzo Thaon di Revel, s’iniziano i lavori per l’apertura attraverso via Giolitti del passaggio tra le vie Pomba e Bogino, attraverso l’isola dell’Annunziata.
Si risolve così uno degli annosi problemi dell’urbanistica del centro di Torino.

116 - Circolo Filologico
Al n. 24 di via Dell’Ospedale (Giolitti) aveva sede il Circolo Filologico, creato nel 1868 per lo studio e l’insegnamento delle lingue straniere.
Al n. 26 c’era il Museo Nazionale di Bacologia e Sericoltura.

image-1116 - La Merveilleuse
Nel 1912, entusiasmato dal grande successo ottenuto dagli stand della moda all’esposizione del 1911, Giuseppe Tortonese decise di aprire in via Garibaldi 38 il primo negozio di camicette già confezionate col nome di “Merveilleuse”.

Fin dalla sua apertura, la maison tocca l’apice del successo con le sue famose camicette, confezionate con rara eleganza che in breve tempo conquistarono anche le madamine più intransigenti, dalla regina Margherita con le sue dame, alle signore della buona borghesia, alle più umili rappresentanti del popolo, maestrine operaie, casalinghe che sino ad allora, non potendo permettersi le creazioni dei grandi nomi, si arrabattavano a cucirsele in casa.
Ben presto le richieste in tutta Italia raggiungendo una produzione annua 30 mila capi, tanto che l’azienda deve darsi un secondo negozio a Torino e una filiale a Roma, in via Condotti, permettendo il diffondersi delle tendenze d’oltralpe e contribuendo a raffinarle secondo il tipico gusto piemontese sino ad estendere successivamente la sua produzione agli abiti pronti di qualità, i “nonni” del prêt-à porter e contribuendo a rendere Torino la capitale nazionale della moda.



image-1Nel 1931, visto l’aumentare delle richieste, venne costruito, in via Cavour 17 (dove attualmente ha sede il negozio Bolaffi), su progetto dell’architetto G. Olivetti il palazzo Merveilleuse come nuova sede.
Nel secondo dopoguerra, la casa, come sempre all’avanguardia, avviò un suo prêt-à-porter che serba nel proprio stile la sobrietà e la pratica eleganza, ma la moda sta mutando il gusto e la casa torinese, dopo alterne vicende, cessa la sua attività alla fine degli anni ’60.

image-1116 - Bolaffi
La filatelia era agli albori e il giovane Alberto Bolaffi ebbe un’intuizione: abbandonare il commercio di biciclette e puntare sui francobolli. Nel 1893 aprì il primo negozio a Torino, in via Cavour. Da quell’intuizione sarebbe nata un’azienda destinata a fare storia. Una storia che porta ancora il suo nome.

 

 



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