Atlante di Torino


 

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Alfiere d'ItaliaSciopero Generale 1914piazza Castello a 360°via ViottiSan Lorenzo San Lorenzo verso la zona - R - verso la zona - I - verso la zona - M - verso la zona - E - portici degli stoccatori palazzo Madama Il cantone di Donna Matilde


I numeri dei titolini corrispondono a quelli dei rispettivi isolati sulla mappa di riferimento qui in alto
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image-1Piano particolareggiato esecutivo per il risanamento degli isolati di San Gregorio e San Matia e di ampliamento di via Viotti
Ufficio tecnico municipale, ing. capo Prinetti. - 1904

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Piani Regolatori dal 1876 al 1932

 

 

 

 




83 – Chiesa senza facciata

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L’antichissima chiesetta di Santa Maria del Presepio fu restaurata nel 1563 e dedicata a San Lorenzo dal duca Emanuele Filiberto per il voto fatto durante la Battaglia di San Quintino il 10 agosto 1557, giorno dedicato appunto a quel santo.

image-1image-1All’esterno non presenta una sua facciata, come era stata disegnata dal Guarini, ma è uniformata a quella dei palazzi di piazza Castello: i Savoia non lasciarono che fosse realizzato il progetto perché non volevano che la piazza, simbolo del loro potere assoluto, avesse elementi che distraessero lo spettatore dall’osservazione del Palazzo Ducale (Reale) e di Palazzo Madama, simboli della supremazia regale.


image-183 - Orologio e meridiana
Sul rosone di sinistra della chiesa di San Lorenzo c’era un indicatore solare, probabilmente progettato nel 1680 dal Guarini, per abbellire la facciata (abbinato alla meridiana sulla destra) segnalando l'alternanza delle stagioni. Nel 1721 venne sostituito da un orologio meccanico sovrastato da una campana, utilizzata per segnalare l’inizio delle funzioni religiose

 

 




image-183 - Il campanile invisibile
Solo un osservatore molto attento riesce a scorgere il particolare campanile di San Lorenzo, posto alle spalle della chiesa, stretto e non molto alto, forse proprio per non turbare l’armonia della piazza e per non distogliere l’attenzione dal palazzo reale.

 

 

 

 



vedi la monografia sulla chiesa di San Lorenzo













piazza Castello panoramica interattiva blue hour: h. 5.00
piazza Castello panoramica interattiva blue hour: h. 5.15
piazza Castello panoramica interattiva blue hour: h. 5.20
piazza Castello panoramica interattiva blue hour: h. 5.30
panoramica interattiva di piazza Castello (lato ovest)
diurno

Leggi: l'esecuzione di Goffredo Varaglia sul rogo in piazza Castello

image-1Primo tram a cavalli
L’1 gennaio 1872, si avviò la prima linea di tram a cavalli su rotaia in Italia. Il tragitto di 3.430 metri, collegava piazza Castello con la barriera di Nizza (ora piazza Carducci).
L’iniziativa ebbe subito subito successo, lo si legge su un articolo della Gazzetta Piemontese del 31 gennaio 1872: «L’impresa ci comunica che per aderire al desiderio manifestato da molti si stabiliranno a titolo di esperienza provvisoria alcune partenze nella sera tarda. Si partirà dalla barriera di Nizza alle ore 10 e 11 pom. Si partirà da piazza Castello alle ore 10,30, 11 e 11,40».
Fino ad allora il trasporto pubblico era rappresentato dagli omnibus che viaggiavano su gomma, trainati da cavalli su rotaie di granito, che ricoprivano gran parte delle vie cittadine. Il passaggio alla rotaia di ferro era dettato dalla necessità di rendere più veloce e mono faticoso per gli animali il trasporto passeggeri.
Nella nuova linea ogni dieci minuti, dai due capolinea, partiva una vettura che poteva ospitare circa 30 viaggiatori. La corsa completa costava 10 centesimi, e durava 20 minuti. Il servizio durava 12 ore e, con 4 vetture, 144 corse tra andata e ritorno poteva trasportare oltre di 5400 persone ogni giorno.

83 - Il caffé di Filippo Juvarra
In via Palazzo di Città, proprio a fianco della chiesa di San Lorenzo esisteva il «Caffé Castello»; qui Filippo Juvarra (1678 – 1736) passava gran parte del suo tempo, disegnando e discutendo.
Rammentano i contemporanei che l'architetto animava con la sua allegra voce dall'accento siculo questo locale vicino alla sua abitazione (nel palazzo dell'Università di via Po), frequentato dai personaggi più importanti di quel tempo.
Molto più avanti nel tempo nello stesso luogo venne aperta la famosa ‘piola’ Pianta.

 

image-184 - Albergo Firenze
Dove ora ha sede la Regione Piemonte era ubicato l'Albergo Firenze distrutto dalle bombe delle seconda guerra mondiale..

 

 


84 - Stato Maggiore
Nel 1831 lo Stato Maggiore dell’Esercito aveva sede nel palazzo Favetti, che venne distrutto dal bombardamento del 13 luglio 1943. L’attuale edificio ospita gli uffici della Regione.

84 - Vedi: il dentista che nel 1829 curava denti ed ernia

I dentisti in carrozza
Verso il 1866 se entravate in piazza Castello dalla contrada dei cestai (l'attuale via Palazzo di Città), girando a destra avreste trovato subito una carrozza sormontata da grandi cartelli e quadri rappresentanti bendaggi. Era lo studio dove operavano i cavadenti "Viano padre e figlio".



 

Via Garibaldi - vedi le immagini delle antiche attività commerciali della via

 

 

 

 

 

image-1L'Alfiere d'Italia
L’alfiere con sciabola sguainata e tricolore, opera del celebre scultore ticinese Vincenzo Vela (1820-1891), fu il tributo che i milanesi fecero nel 1857 all’esercito piemontese.

 

 


I canti delle operaie tessili
Il 5 maggio 1906 circa 16.000 scioperanti tessili di cui circa 12.000 donne invadono le vie cittadine. «Ricordo - scrive Teresa Noce - via Ga­ribaldi percorsa da una lunga fila di operaie silenziose, in grembiule ne­ro e zoccoletti ai piedi. Giunta in piazza Castello quella schiera leva un canto triste: "Nelle officine ci manca l'aria; nelle soffitte ci manca il pane"».
Lo spirito di ribellione pare prorompere tanto più violento quanto più la storia delle operaie tessili è stata storia di sofferenze e di repressioni, quanto più esse vengono confinate dalla classe dirigente in una specie di ghetto sociale. Non fa specie apprendere da un'altra testi­monianza che queste ribelli intonano per strada un'altra canzone, che viene da una propaganda anticlericale radicatasi profondamente nelle masse, la canzone il cui ritornello suona:
«La chiesa è una puttana, i preti son mercanti, negozian la madonna, insieme a tutti i santi».
Nella loro battaglia per ottenere la giornata lavorativa di 10 ore le operaie cantano anche: "Ringrassiòrna i socialisti ch'a sòn vnune ad agiòté per vince le des ore, le des ore a travajé. I padròn a l'an la testa dura ma noi I'uma ancora 'd pi!"

Antonio Fogazzaro
L'autore di «Piccolo mondo antico», più volte candidato al premio Nobel, nato a Vicenza il 25-3-1842, per quasi cinque anni abitò in città poiché il padre - profugo politico - vi si stabilì con la famiglia in attesa che il Veneto venisse liberato dagli Austriaci. La famiglia Fogazzaro, ricca nel vicentino ma poverissima in Piemonte, abitava in un minuscolo alloggio di Piazza Castello (quasi una soffitta) «con 118 scalini da salire e scendere ogni giorno». Il padre faceva ogni giorno le provviste di cucina «uscendo ogni mattina fra le 7 e le 8 ... con la sporta sotto il braccio, lungo la via che dal Palazzo di Città mette a Porta Milano» (cioè in piazza della Repubblica, al Mercato di Porta Palazzo).
Antonio, che frequentava la Facoltà di Giurisprudenza, non si curava molto delle gravi difficoltà economiche in cui versava la famiglia: studiava poco, oziava assai e «frequentava più il biliardo che l'Università». Comunque, con voti mediocri, nel 1864 riuscì a conseguire la laurea in legge entrando come praticante nello studio dell' Avv. Cassinis. Ma l'apprendistato forense durò poco, perché l'anno dopo si trasferì con la famiglia a Milano ed incominciò a scrivere racconti e novelle. A Torino (nel 1863) ritrovò la contessina Margherita Valmarana di Vicenza, se ne innamorò e la sposò, dopo il ritorno nel Veneto libera­to, il 31 1uglio 1866.

image-185 - I portici degli stoccatori
A metà dell’800 nel tratto di portici tra l’inizio di via Garibaldi e quello di via Roma, stazionavano gli “stoccatori”. Si trattava in buona parte di borghesi decaduti che con la loro eloquenza abbordavano i passanti ritenuti danarosi per chiedere un prestito, motivandolo con situazioni dolorose.

 

 

 

85 - Le tazzine col manico
All’inizio di via Garibaldi, al 3b, c’era il Caffè Calosso (ribattezzato “Caffè della Lega Italiana”) che nel 1843 introdusse per primo l’uso della tazzina con il manico.
Nel Risorgimento era il ritrovo di patrioti e letterati: Vittorio Bersezio racconta che Michele Novaro (1822 - 1855), secondo tenore e maestro dei cori dei Teatri Regio e Carignano, una sera dell’inverno 1847 entrò gridando: “Ho scritto l’inno, l’inno a cui pensavo da tempo. Volete sentirlo?” Gli amici lo seguirono nella sua abitazione, dietro l’angolo, al terzo piano di Via XX Settembre 68 per ascoltare le note con cui aveva musicato il testo che gli aveva mandato Goffredo Mameli.
Più tardi ospitò la libreria Lattes.

Vedi l'approfondimento sulla Libreria Lattes di via Garibaldi 3

85 - L’inno di Mameli
Nella casa di via XX Settembre 68-70 ? Michele Novaro, il 10 novembre 1847, compose la musica che, con le parole di Goffredo Mameli, diventò l’inno nazionale.
Nella stessa casa abitò Lorenzo Valerio, uomo di spicco della sinistra risorgimentale.
La città degli inni
A Torino sono stati composti, oltre all’inno di Mameli, la Marcia Reale, l’inno fascista Giovinezza e anche quello del Piave. La sera del 23 giugno 1918 stimolato da una manifestazione patriottica in piazza Carignano, un impiegato napoletano delle Poste, Giovanni Gaeta, scrisse su un modulo di vaglia telegrafico il testo della famose canzone: ”Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio...” firmandosi poi con lo pseudonimo che divenne famoso E.A. Mario. La sera successiva i versi già circolano tra la folla che, riunita di nuovo davanti al teatro Carignano, la cantò fino a tarda notte.-

 

 

 

85 -Teatro Panorama
In via Barbaroux 4, nel 1898, c’era il teatro panorama che proponeva vedute di paesi e di fatti celebri

La Diagonale non ancora aperta
La Diagonale, via Pietro Micca, venne realizzata nel 1885.

 

 

85 - All'Old England eleganza, calcio e ginnastica
In piazza Castello al 127 – dove nell’800, sotto l’orologio i cavalieri davano appuntamento alle belle madamin – vi era l’Old England, di Adolf Jourdan, il più bel negozio di cravatte, bigiotterie, porcellane, terre cotte, bronzi e peluche.
Jourdan, nato nel 1853 a Torino dove il padre Matteo (Genova 1823 – Torino 1873) era maître d’hôtel della “Pension Suisse” in contrada d’Angennes (ora via Principe Amedeo). Grande appassionato di foot-ball, e ne diventò presto un personaggio rilevante come imprenditore, dirigente sportivo e arbitro.
Questa passione coinvolse l’amico medico, fisiologo e archeologo Angelo Mosso (Chieri 1846 – Torino 1910) presidente dal 2 novembre 1896 della Reale Società Ginnastica di Torino (RSG), che nel 1897 fondò la Scuola di Ginnastica Medica e organizzò nel 1898 un Congresso nazionale di educazione fisica.
Mosso, insieme a Jourdan, propose il primo Campionato di Calcio.
Il 15 marzo del 1898, Jourdan creò la Federazione Italiana del Foot-ball (F.I.F.), progenitrice della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), insieme a Mosso e ad altri soci, inclusi i dirigenti del Genoa Hermann Bauer ed Edoardo Pasteur. La sede legale della F.I.F. era quella della Reale Società Ginnastica mentre le riunioni avvenivano proprio nel suo negozio di Piazza Castello.

86 – Il Fischietto
In via Guardinfanti 5 (Barbaroux) dal 1848 si stampava “Il Fischietto”, primo giornale umoristico satirico italiano.
Il primo direttore fu il poeta Carlo A-Valle, seguito nel 1854 dallo scrittore Vittorio Bersezio, nel 1855 da Francesco Redenti, e nel 1870 dal caricaturista Camillo Marietti. Successivamente il periodico fu diretto da Arturo Calleri (noto con lo pseudonimo di Caronte), che si alternò con Luigi Sapelli (Caramba) e Giorgio Ansaldi (Dalsani).
Cessò le pubblicazioni il 19 luglio 1916. Nel 1923 un tentativo di resuscitare la rivista sotto la direzione di Giovanni Manca non ebbe successo.

 

 

 

 

 

86 - Il palazzo delle streghe
Il 22 gennaio 1656 in città moriva il Principe Tommaso di Savoia Carignano, stroncato da una violenta febbre, misteriosamente contratta alcuni giorni prima all'assedio di Pavia. Che un guerriero di quella statura, dopo aver sfidato ripetutamente la morte sui campi di battaglia, dovesse proprio soccombere a cagione di un semplice morbo, parve talmente incredibile ai piemontesi, che subito si iniziò a favoleggiare di malefici, d'interventi di forze sovrannaturali o, per essere più esatti, della vendetta postuma del defunto Bagnolo fatto decapitare dal Principe per le sue sediziose attività. Al fine di dissolvere in precedenza gli eventuali dubbi dei contemporanei e dei posteri, il Conte Thesauro volle precisare che si trattava di «sortilegi veri e reali, essendosi nella sala del suo palazzo udito il ballo delle streghe e veduta la pedata loro nella cenere sparsa nella detta sala, benchè serrata di notte poco avanti alla morte di quel principe, e la fiamma sopra le tegole, e il segno dato col rompimento nel suonar la sua passata». Il luogo cui il Thesauro allude quale teatro di fatti così terrificanti è la vecchia dimora dei Principi di Carignano, denominata «Palazzo Vecchio». Questo palazzo, donato al Principe Tommaso dal padre Carlo Emanuele I, era situato in quell'angolo della piazza Castello, dove inizia via Pietro Micca, in quella zona cioè che, nelle antiche piante, corrispondeva al cantone di San Gregorio, nel punto ove s'incrociavano le vie del Guardinfante e dell'Anello d'Oro. Ma più che un palazzo era un aggregato di tre costruzioni diverse, probabilmente già verso la fine del secolo XVIII passato in proprietà della famiglia Perrone e demolito nell'800.

87 – Il cantone di Donna Matilde
Il palazzo uno dei più ricchi della città, costruito da Carlo Emanuele I e dato a Beatrice Langosco in cambio del suo palazzo in piazza San Giovanni (l’attuale palazzo Chiablese). Beatrice, che era considerate una delle donne più belle del suo tempo, fu amante di Emanuele Filiberto. Il palazzo poi prese il nome del secondo marito di Beatrice, il generale bresciano Francesco Martinengo di Malpagna, che combatteva per i Savoia. Il Martinengo in seguito passò al servizio dei veneziani, fu processato contumace per tradimento e il palazzo venne assegnato a donna Matilde legittima figlia di Emanuele Filiberto e Beatrice Langosco. Matilde sposò il conte Carlo Simiana che fu poi decapitato come traditore. Il figlio Giacinto divenne ministro della guerra e utilizzò il palazzo come ministero nel 1672. Successivamente l’edificio passò ai Francavilla, ai Solaro del Borgo, al banchiere Martini e Melano.
Qui c’era l’albergo dell’Anitra (poi Londra quindi Caccia Reale) che dava il nome alla via della Caccia (il tratto iniziale di via Pietro Micca).

87 - Il palazzo delle tartarughe
Il palazzo di via Viotti 4, esempio di architettura Liberty, venne edificato nel 1906 dall’ingegner Carlo Angelo Ceresa per la famiglia Dellazoppa
Alle sommità delle colonne esterne del portico di via Viotti, fanno da capitellodue tartarughe (simbolo orientale dell’uomo che si trova tra cielo e terra) .

 

 

 

87 - Palazzo Martini, isola di San Emanuele, nella via Roma vecchia
Venne abbattuto nel 1931 per la ristrutturazione della via.



87 - La prima Cooperativa in Italia
Nel 1850 veniva fondata la società generale degli operai di Torino, che dopo quattro anni apriva uno spaccio di generi alimentari di prima necessità. Si tratta della prima impresa cooperativa italiana. L’obiettivo del neonato ‘magazzino di previdenza’ era comprare merci all’ingrosso e rivenderle al dettaglio ‘al prezzo del primitivo costo’, per cercare di tutelare il potere d’acquisto  dei salari in una fase di crescente inflazione. Il negozio fu effettivamente inaugurato nel settembre 1854 in via Palma n. 7 (oggi via Viotti). Uno degli ispiratori dell’iniziativa fu Giuseppe Boitani, funzionario del Ministero delle finanze del Regno di Sardegna, segretario della Società generale degli operai di Torino. Molto vicino a Camillo Cavour, apparteneva a quelle élite liberali progressiste che credevano in una crescita ordinata delle società.

Le prime organizzazioni operaie
Già nel 1737 gli operai calzettai di Torino organizzarono una comune cassa di soccorso che dette ottimi risultati. Un anno dopo venne fondata l'Unione pio-litografica con scopi mutualistici.

87 - Un asino volante
Nel 1826 una compagnia di girovaghi pose le tende accanto a palazzo Madama pubblicizzando un evento straordinario: avrebbero fatto volare un asino.
Lo spettacolo, fissato per l’ultima domenica di maggio, riempì la piazza di curiosi. Prima di iniziare i saltimbanchi raccolsero la “buona grazia” l’obolo degli spettatori, quindi messo al sicuro il denaro, comparve l’asino che con una carrucola venne issato fino al tetto dell’edificio dell’albergo della Caccia Reale, da dove era tesa una fune fino all’imbocco di via Doragrossa. Il povero animale terrorizzato ragliava e si dimenava al punto che l’imbragatura si ruppe e il malcapitato rovinò a terra tra le proteste del pubblico.

87 – Torre Littoria
Costruita durante il fascismo nel 1934 dove in precedenza c’era palazzo Martinengo. E’ stato il primo edificio torinese in struttura metallica elettrosaldata dalle Officine Savigliano. I balconi d’angolo, illuminati, davano l’impressione visiva di una fascio littorio. E’ alta 87 metri.

 

 

87 – La patria dell’aperitivo
Nel 1786 nella liquoreria Marendazzo (il locale di piazza Castello angolo via Viotti) lavorava come aiutante Antonio Benedetto Carpano (1764-1815) che cercò di ottenere una versione aromatizzata del moscato, utilizzando erbe, spezie e ricette apprese dai frati delle valli del Biellese. Creò così il Vermouth (in Tedesco significa assenzio) che ebbe subito successo al punto che il locale divenne per i 140 anni successivi, uno dei più frequentati della città. Un cesto del prodotto fu donato a Vittorio Amedeo III che lo trovò squisito al punto di disporre la sospensione della produzione del rosolio, fabbricato a corte.
La nascita del Punt e Mes, versione amara del Vermouth, risale al 1870. Un giorno, nella bottega Carpano, un gruppo di agenti di borsa discuteva sull’andamento della giornata. Uno di questi, nell’intento di ottenere un Vermouth corretto con una mezza dose di china, inavvertitamente ordinò un punt e mes.
Tutti risero, ma tale variante al Vermouth Classico ottenne rapidamente un gradimento tale da diventare la specialità che ha reso famosa la casa Carpano nel mondo.
Tra le 18 e le 19 era il momento di maggior affollamento, a volte compariva al bancone anche re Vittorio Emanuele II e con lui molti alti dignitari di corte. Chiuse il 16 gennaio del 1916.

Leggi l'approfondimento: dal rosolio a vermouth

Leggi: la guerra degli aperitivi tra Carpano, Rovere, Cora e Cinzano

Vedi le immagini della Carpano

Tumulti sanguinosi e violenze vandaliche
Il 9 giugno 1914 è sciopero generale con un grande corteo che da corso Siccardi (Camera del lavoro) si snoda fino a piazza Castello. Per le strade si accende una vera battaglia con cariche di cavalleria in via Roma, piazza Carlo Felice, piazza San carlo e piazza Castello. Si improvvisano barricate e vengono danneggiate numerose vetrine, tra cui quelle dei caffè Ligure e Piemonte, ritrovo dei nazionalisti interventisti.
In piazza Castello la polizia apre il fuoco e due dimostranti vengono uccisi, uno di questi all'angolo con via Roma, era a fianco di Palmiro Togliatti. Cinquanta sono i feriti tra le forze dell'ordine.

 

Leggi l'articolo de La Stampa che racconta i fatti di questa triste giornata

 

 



Piero Gobetti
Al terzo piano del n. 60 di via XX Settembre abitò Piero Gobetti. Sull’angolo opposto di via Bertola i suoi genitori avevano una drogheria. Dietro l'angolo in via Bertola 9 c'era la redazione della rivista Energie Nuove che Gobetti dirigeva già a 17 anni e poi quell adi Rivoluzione Liberale. Nell'atrio di questo palazzo, nel 1925, Gobetti venne picchiato a sangue da una squadraccia fascista.
Si trasferì poi in via Fabro 6, da dove espatriò costretto dalla persecuzione fascista.

 

 

 

 

 





image-1Via Viotti
Appartiene alla parte più antica di Torino. Originariamente si chiamava Contrada dell'Anello d'Oro prendendo nome da un albergo attivo nella via. Fu in seguito denominata via della Palma, dal nome di una osteria che sull'insegna aveva dipinta una palma.



 

Vedi le immagini di contrada della Palma - ora via Viotti

 

 

 

 


image-189- Teatro Trianon
Costruito, in via Bertola angolo via Viotti, in stile Liberty sul modello dei più fantasiosi palazzi presenti nelle località termali e di villeggiatura. Offriva varie possibilità di svago: caffè-birreria, ristorante, teatro per i concerti, sala da ballo, locale per le aste, gioco del biliardo e della pelota, giardino con fontane e pergolati per gli intrattenimenti estivi. Inaugurato nel 1911, diventa cinema Italia, poi Sabaudo, Umberto, Odeon quindi Astor.

90 - A "La Stampa" i macchinari più moderni al mondo
Il 1° agosto del 1933 il quotidiano La Stampa trasferì la sua sede da piazza Solferino al nuovo palazzo della nuova via Roma utilizzando il “più moderno macchinario al mondo”. Il 15 agosto del 1968 si trasferirà poi in via Marengo dove rimarrà 44 anni. Si sposterà infine all’attuale sede di via Lugano 15.









94 – Il conte coreografo
Anticamente quest’isola ospitava il “Trincotto della veritina” e a metà del 600 il palazzo del conte Filippo d’Agliè, della famiglia San Martino, marchesi di San Germano. Era l’uomo di fiducia e molti dicono anche amante della reggente Cristina di Francia. I francesi lo individuavano come il vero padre di Carlo Emanuele II.
Il conte (morto nel 1667) era anche ballerino e coreografo abilissimo. Mentre il cardinal Maurizio era in visita a Parigi, la regina Anna gli chiese di organizzare uno spettacolo divertente. I cortigiani insinuarono subito che un montagnard (così venivano definiti i Piemontesi a Parigi) non fosse all’altezza. Così il cardinale mandò a chiamarlo, in breve, allestì il balletto “çes Montagnards o gli Habitatori de’ Monti” che ottenne un successo strepitoso e dovette essere replicato più volte.

 

 

 

 

image-1image-194 – Portici della Fiera
Così chiamati perchè, per due secoli vi si festeggiò la Fiera di San Germano. Dopo i d’Agliè il palazzo passò ai San Germano che nel 1685 ottennero il permesso di organizzarla. Edmondo De Amicis passeggiando sotto i portici nelle sere d’inverno (1880) notava: “par d’essere in una galleria d’un palazzo grandissimo, dove i convitati sfilino rispettosamente”. E Guido Gozzano in “Torino d’altri tempi” vedeva nei Portici della Fiera in Piazza Castello una folla immensa capace di recitare il suo passeggio “disposta a coppie come nelle incisioni in rame e nelle stoviglie di Savona”.

image-1Alla fine del 1700 una corte variopinta e schiamazzante di giocolieri, saltimbanchi, prestigiatori, dentisti, cantastorie, orsi e scimmie danzanti diede vita a una fiera permanente che aveva come protagonisti: Gioanin d’j osei il primo burattinaio girovago, Toni ‘d le servente poeta dialettale, Batista che per vendere unguenti miracolosi raccontava i fatti più raccapriccianti, Dolcitto il nano, l’altro nano Bagonghi che perì miseramente nel Po, l’imbonatore arabo Ramlech, e tanti altri che componevano.
Nel 1705 il palazzo ospitò l’ambasciata olandese.



image-1image-194 - Albergo Europa
Aperto nell’aprile del 1827 sulle rovine dell’albergo Reale, poi Bordino, quindi Trombetta e Universo. Ospitò Balzac, Flaubert, Melville, Ruskin, Stendhal, Henry James, il maresciallo Radetzky, Giuseppe Verdi, Eleonora Duse e Mussolini. Qui Dumas padre incontrò Garibaldi, decidendo di seguirlo nell´Impresa dei Mille, per redigerne le memorie.
Balzac giunse a Torino l’1/8/1836 e si fermò per 11 giorni. Era accompagnato dalla sua amante Carolina Marbouty di Limoges, e per non dare scandalo preferì travestirla da uomo, presentandola come il proprio segretario.
Nel 1860 ospitò Carlo Farini (1812-1886) venuto per portare l’adesione dell’Emilia-Romagna al regno d’Italia e Bettino Ricasoli (1809-1880) giunto dalla Toscana per lo stesso motivo.
Nel 1862 vi morì Carlo di Borbone, principe di Capua, fratello di Ferdinando II re delle due Sicilie.
Sempre all’Hotel Europa avvenne l’incontro tra Edmondo De Amicis e Gabriele D’Annunzio (nel 1902) e quì dormì Mussolini durante la visita del 1923.
Nel 1930 quando venne demolito si scoprì una camera mai usata perchè aveva la porta murata.

94 - Torino modello per costruire Washington
Il 7 aprile 1787 il futuro presidente degli Stati Uniti Thomas Jefferson prese alloggio per due notti all'Albergo Europa. A seguito di questo soggiorno inserì la mappa di Torino tra quelle proposte come modello al presidente George Washington nell’ambito degli studi per costruire la nuova capitale americana, appunto Washington.

94 - De Sade in fuga
Il 5 luglio 1775 prese alloggio all'albergo Europa il conte di Mazan. E' il nome falso che usa il marchese De Sade in fuga dalla Francia dove suo zio, abate di Ebreuil, al quale aveva inviato per nasconderla una delle ragazze coinvolte nelle orge al castello di La Coste, aveva chiesto l'internamento del nipote per pazzia.

94 - Il poeta romano che amava Torino
Negli anni 50 del secolo scorso Filippo Tartufari era il proprietario di un negozio di elettrodomestici in questo isolato, ma la sua vera passione era la posia. Cantò Torino pubblicando: "Torino bella" (le piazze) sonetti in romanesco, edito da Rattero (1953).

94 - Eleonora Duse
La stella del teatro dell’800, Eleonora Duse, era solita alloggiare all’albergo Europa, in piazza Castello. Una delle sue mete preferite era la libreria Beuf (poi Casanova, ora Luxemburg, in piazza Carignano, aperta nel 1872). Un giorno l’attrice si soffermò a carezzare un gatto d’angora sospirando: “Sarei felice di avere un gatto così…”. Francesco Casanova, titolare della libreria, ordinò subito al suo garzone di portare l’animale all’albergo della diva che non se ne separò più.
Il compenso per la Duse (e per il padre), pagato dal teatro Carignano nel 1881, fu di 7.250 lire (circa 26.357 Euro).

 

 



94 - De Carlo
Nel 1912, in piazza Castello 91, Achille De Carlo apriva il primo negozio di posateria e coltelleria, dando il via ad una tradizione di qualità, professionalità e cortesia, che tuttora contraddistingue i due attuali punti vendita, in via Cesare Battisti 5 e in via Carlo Alberto 36.

94 - Il bar del portiere
Il 23 maggio del 1933 all’angolo tra via Roma e la piazza viene inaugurato il bar Combi, di proprietà di Gianpiero Combi (1902-1956), uno dei più forti portieri della Juventus e del calcio italiano. Poi divenne bar Motta e attualmente negozio di abbigliamento.

image-1In contrada della Palma (via Viotti) il ritrovo dei giacobini
La contrada della Palma anticamente era chiamata contrada dell'Anello d'Oro e poi dei Canestrelli, dal nome di due alberghi che vi sorgevano. Anche il nome della Palma le fu attribuito per la presenza di un albergo con questo nome. Fra questa contrada e quelle del Tea­tro e del Montone, prima dell'apertura della contrada Nuova (via Roma d'oggi), c'era una fila di casucce abbattute per far appunto luogo alla nuova arteria. La contrada della Palma corrisponde circa all'odierna via Viotti, quantunque gli sventramenti e rifacimenti di via Pietro Micca prima e di via Roma poi, le abbiano apportato vari cambiamenti.
Negli ultimi anni del 1700 era qui assai noto il Caffè Marsiglia cenacolo dei giacobini torinesi.

image-195 - Piazza Carignano
Fu creata col secondo ingrandimento della città nel 1663. Si denominò sempre piazza Carignano in quanto si formò con la costruzione dell'omonimo palazzo. Durante il periodo della dominazione francese fu ribattezzata piace de la Bourse, perché la piazza fu sempre convegno della gente d'affari e di commercio, sede della Borsa Merci.
I Principi di Carignano, prima d'aver una sede propria e degna del loro rango, abitarono nel palazzo Madama ed in seguito in un edificio all'inizio della contrada dei Guardinfanti (via Barbaroux d'oggi), a lato dell'albergo Bonne Femme, fabbricato poi demolito con lo sventramento per la formazione di via Pietro Micca.
Nel 1680 il principe di Carignano Emanuele Filiberto il sordo-muto fece innalzare il palazzo detto Carignano su disegni dell'architetto Guarino Guarini. Mentre erano in corso i lavori di costruzione, che durarono fino al 1685, il Principe acquistò dai Gesuiti l'area per formare la piazza antistante il palazzo. Il retro del palazzo si affacciava su un giardino chiuso che ora è la piazza Carlo Alberto e sul fondo c’erano le scuderie (dove ora c’è la Biblioteca Nazionale). Durante il periodo di occupazione francese nel palazzo ebbe sede la Prefettura del Dipartimento del Po.
Salito al trono, Carlo Alberto alienò al Demanio il suo palazzo, che fu destinato ad uffici amministrativi statali. Nel 1848 il grande salone centrale da ballo venne adattato ad aula per la Camera dei Deputati, aula che intatta si conserva tuttora.
La parte più nuova del palazzo prospicente la piazza Carlo Alberto fu cominciata nel 1863 per dare una sede funzionale alla Camera dei Deputati del nuovo regno d'Italia. Il progetto si deve agli architetti G. B. Bollati e G. Ferri. Il trasferimento della capitale a Firenze fece poi cambiare la primitiva destinazione per cui era sorta quest'aggiunta al palazzo originario.
Di fronte al palazzo Carignano vi è il teatro omonimo. Nel 1703 il principe Emanuele Filiberto acquistò da certi fratelli Berlenda il Trincotto Rosso (trincotto era un locale per il gioco del pallone), e fece adattare l'interno per modesti spettacoli e si ebbe cosi il primo teatro di S.A. il principe di Carignano. Seguirono altri lavori di adattamento, ma il locale sempre modesto col passare degli anni peggiorò talmente da rendersi indispensabile una ricostruzione totale, attuata nel 1752, su disegni dell'architetto Benedetto Alfieri per la sala, e dell'architetto G. B. Borra per la facciata. Nel 1786 un incendio distrusse completamente il teatro. Fu subito ricostruito su disegni dell'architetto G. B. Ferrogio. Nel 1885 furono apportate modifiche, specialmente interne dall'architetto P. Carrera.
Ai due lati del teatro, cioè ai numeri due e sei e formanti con esso un solo isolato, sono le due porzioni del palazzo Morelli. La facciata comune al teatro fu nel 1752 eseguita su progetto degli architetti G. B. Borra e F. A. Bellino. Al piano terreno, sulla destra del teatro si apre sulla piazza uno dei più famosi caffè ristoranti ( ora soltanto più ristorante) di Torino: il Caffè Ristorante del Cambio. Il nome derivò al locale dalle operazioni di cambio della moneta che ivi si eseguivano essendo, come si disse, la piazza Catignano centro di affari, di transazioni e borsa delle merci. Il locale frequentato da personalità illustri quali Cavour, d'Azeglio, Gioberti, La Marmora, Rattazzi, Lanza, Sella, ebbe momenti di grande celebrità specie nel periodo risorgimentale. Si conserva memoria del posto ove soleva sedersi il Cavour ed in una lunetta è dipinta una sua pseudo caricatura.
Chiude la piazza a sud-ovest il fianco del palazzo dell'Accademia delleScienze, ala sopraelevata dall'architetto Mazzuchetti nel 1867.
Al centro della piazza è il monumento a Vincenzo Gioberti opera dello scultore G. Albertoni, inaugurato nel 1859.

95 - La casa di Pitigrilli
In via Principe Amedeo 1, nel 1975, morì Dino Segre, conosciuto come “Pitigrilli” autore di grande successo negli anni tra le due guerre mondiali: «un ebreo che per le sue vicende personali non aveva simpatia per gli altri israeliti», entrò nel maggio del 1930 nel libro paga dell’Ovra, la polizia politica fascista, fu assunto quale informatore per la Francia sulle organizzazioni massoniche parigine come la Concentrazione antifascista e Giustizia e Libertà. Durante la guerra viveva in corso Peschiera 28.

 

 

 

 

 

 



image-1image-1image-195 - Teatro Carignano
Aperto al pubblico come spazio per il gioco della palla corda menzionato già nel 1608 come “Trincotto Rosso”, venne occupato dalle truppe durante la guerra civile tra madamisti e principisti. Nel 1703 fu acquistato dal principe Emanuele Filiberto, suo figlio Vittorio Amedeo lo aprì al pubblico nel Carnevale del 1711. Dopo quarant’anni, pericolante, venne ricostruito e inaugurato il 7 luglio 1753.
Tenne a battesimo le prime tragedie di Vittorio Alfieri.
image-1Distrutto da un incendio (1786) e poi ricostruito nel 1787 da G. B. Feroggio, in stile neoclassico. Nel 1798 i Savoia Carignano lo cedettero a privati per l’arrivo dei francesi, ma nel 1815 il giovane Carlo Alberto tornò ad esserne proprietario.
Vi si esibì anche Leopoldo Fregoli con il suo spettacolo di trasformismo nel febbraio del 1898.
Nel 1922 vide l’ultima recita della carriera di Sarah Bernard.
Il 12 dicembre 1953 Totò era tra il pubblico per assistere all’Amleto recitato dal giovane Vittorio Gassman. Alla fine si recò nel camerino per congratularsi, assicurandogli una luminosa carriera.

image-195 - La commedia di Paolina Bonaparte e l'imperatore invisibile
Appena arrivata a Torino, nel 1808, Paolina Bonaparte moglie del governatore Camillo Borghese, fece un gesto di accattivante cortesia verso i torinesi, o, per meglio dire, verso la nobiltà piemontese che veniva presentata alle Loro Altezze Im­periali in un gran ballo d'onore nella sala del teatro Carignano. La solennità della cerimonia derivava dal troneggiare d'una poltrona siste­mata in bella vista su un palco in fondo alla sala: la poltrona, ricoperta di velluto rosso con una "N" in oro era vuota perché doveva simboleggiare la presenza in­visibile dell'imperatore.
Paolina era entrata nella sala accompagnata dal principe e preceduta dal maestro delle cerimonie, Alfieri di Sostegno. Il suo vestito di gala, azzurro cielo ricamato in argento, con un lungo strascico, era fra i più raffinati, i diamanti erano superbi e illumi­navano il seno bianchissimo, il collo e le spalle nude. Don Camillo attese un attimo che la consorte sedesse sulla poltrona collocata, ma più in basso, alla sinistra del trono vuoto di Napoleone, poi si accomodò sulla poltrona di destra. Si era fatto silenzio e la principessa diede il segnale d'inizio del ballo. L'orchestra intonò una controdanza francese, ma improvvisamente Paoli­na alzò una mano e disse: «No, prego maestro, suonate una monferrina ».
Nella sala scrosciò un lungo ed entusiastico ap­plauso. La monferrina era una danza popolare origina­ria del Piemonte. Tutti perciò colsero la gentilezza del gesto e, con riconoscenza, gridarono più volte: «Viva l'imperatore. Viva la principessa. Viva il principe ».
In realtà, da parte di Paolina era stata tutta una commedia, di cui si era fatto ispiratore il solito Villa­marina. Questi aveva avuto l'idea di avvicinare in un sol colpo furbesco la principessa alla nobiltà piemontese. Con la richiesta di interrompere la controdanza france­se in programma e di farla sostituire all'istante da una monferrina, la giovane governatrice avrebbe con poca fatica conquistato i nuovi sudditi. Paolina stette al gio­co, e ne fu informato solo il maestro Canavassi, diret­tore dell'orchestra. Al marito non avevano detto nulla.

95 - Paganini non ripete
Nel 1818, dopo un concerto eseguito magistralmente da Niccolò Paganini, il re Carlo Felice chiese la ripetizione del brano, ma il musicista rispose con la celebre fras:e "Paganini non ripete". Il sovranosi offese e fece annullare il concerto successivo. Il musicistà raccontò il fatto scrivendo all’amico Germi “La mia costellazione in questo cielo è contraria. Per non aver potuto replicare a richiesta le variazioni della seconda Accademia, il Governatore ha creduto bene sospendermi la terza…” (25 febbraio 1818)
“In questo regno, il mio violino spero di non farlo più sentire” (11 marzo 1818)
Non sarà così infatti Paganini nel giugno 1837, regnante Carlo Alberto, eseguì due concerti per violino a “beneficio dei poveri” . Il ricavato delle due serate (di 9.885 lire) venne distribuito tra i parroci della città per ordine del re, destinato alle famiglie bisognose.

95 - Marinaio innamorato
Nel 1862 Eugenio Emanuele Savoia Carignano, cugino di re Vittorio Emanuele II,ammiraglio, luogotenente generale del regno mentre re Carlo Alberto era impegnato nella 1° guerra d’Indipendenza, incontrò al teatro Carignano la diciottenne Felicita, figlia di Matteo Crosio, musicista nell’orchestra del teatro. Fu amore a prima vista, da lei ebbe nove figli, ma il suo matrimonio fu riconosciuto dal re Umberto I solo nel 1888.

95 – Il vicolo del peccato
Il vicoletto dietro al teatro, dalla parte di via Cesare Battisti, ora chiuso da un cancello, agli inizi dell’800 era un sito malfamato dove le prostitute si appartavano con i clienti adescati all’uscita del teatro.

95 - Guido Gozzano preso in giro
Nel 1899 sorse a Torino per impulso di alcuni studiosi il circolo «La Società di Cultura», che aveva sede in via delle Finanze 2 (ora via Cesare Battisti).
Nel dicembre del 1905 uno studente in legge, Tommaso Mittino, noto per il suo sarcasmo, era al circolo e leggeva un articolo firmato da Guido Gozzano sulla rivista «Il Campo». Lo scrittore si chiamava Guido Gustavo Gozzano e, abbreviando, usava firmare «gggozzano»; Mittino ridendo esclamò ad alta voce : «Ma guardate questo che si firma con tre gozzi e un ano!», Si narra che il giovane poeta-scrittore fosse presente in sala e, sensibile com'era, arrossisse violentemente, smettendo in seguito di firmare in quel modo.

image-1image-195 - Ristorante del Cambio
Aperto nel 1770 era anche stazione della diligenza per Parigi e si effettuava pure servizio di cambio della valuta.
Era il preferito da Cavour che aveva un tavolo riservato che gli consentiva di tenere d’occhio la finestra del palazzo Carignano, sede del parlamento, da cui il suo segretario gli faceva un cenno, in caso di situazioni particolari in aula.



95 - Il caffè di Casanova
Giacomo Casanova, che a Torino assunse il nome di barone di Seingalt, frequentava abitualmente i caffè del Cambio e del Commercio (in contrada Doragrossa (Garibaldi) 4. Dove era solito leggere i giornali.
Al Cambio conobbe l'amante dell'anziano conte di Saint-Gilles e l'avventuriero veneziano racconta che la fanciulla «era più interessata alla borsa che alla persona del suo vecchione».
Casanova visitò la città sette volte: la prima solo per un breve cambio di posta mentre si recava in Francia, poi, tra il maggio e il giugno del 1750, in occasione delle nozze tra l’erede al trono Vittorio Amedeo di Savoia e Maria Antonia di Spagna. Grazie ai festeggiamenti si recò più volte al Teatro Carignano appena costruito.
L’ultima visita risale al 1770, quando si fermò per ben tre mesi. Di Torino apprezzava molto la cucina. Secondo quanto scrive, non vi era luogo in cui si mangiava e si beveva meglio che nella capitale sabauda.
“Tutto bello, i palazzi, le strade, la corte”, anche se non gradisce il gran numero di mendicanti e le ingerenze della polizia. Non manca un suo parere da esperto sulle dame cittadine: “Tutte belle, a cominciare dalle duchesse di Savoia”. Non manca un suo paragone con le parigine: “Tanto belle le sabaude, quanto laide le parigine”.

95 – Nasce il Pinguino
Nella Gelateria Pepino (tuttora esistente), fondata nel 1884 da Domenico Pepino, venne proposto per la prima volta il gelato da passeggio, brevettato nel 1939 col nome di Pinguino.


Vedi immagini e documenti della gelateria Pepino nel corso della sua storia


95 - Un laboratorio di ebanisti
Nel 1838, dove ora c’è la gelateria Pepino, operava un laboratorio di ebanisti; nel 1868 il locale diventa “Caffè del Mondo”, citato dai giornali umoristici, che durerà solo due anni, quando assume la denominazione di “Caffè Teatro Carignano” per divenire dieci anni dopo “Ristorante e Birreria Dreher”. La birreria nel corso del tempo cambiò diversi proprietari, rimanendo in piazza Carignano per quasi cinquant’anni; verso il 1925 risulta “Grande Ristorante Carignano” passato infine nel 1929 alla celebre Gelateria Pepino.

 

 

 

 

 

95 – L’amico del re
In contrada Nuova 17 (poi via Roma vecchia 13) abitò il marchese Morozzo della Rocca, amico e confidente di Vittorio Emanuele II

 

 

 

 

 


Il premier pazzo
Luigi Carlo Farini, emiliano, patriota, membro della Carbonieria e della Giovane Italia nel 1849 ottenne la cittadinanza piemontese. Nel 1849 deputato liberale, ministro con Massimo D’Azeglio e stretto collaboratore di Cavour. Nel 1859 presidente dell’Emilia della quale gestì l’annessione al Piemonte.Tra il 9 dicembre 1862 e il 24 marzo 1863 fu a capo del Governo anche se la malattia mentale incalzava. Un giorno assalì re Vittorio Emanuele, urlando che bisognava dichiarare guerra alla Russia. Dovette rassegnare le dimissioni. Abitava in stradale del Re (c. Vittorio Emanuele) 18.

 

 

 

 

image-1image-1Piazza Castello

Leggi la monografia su Piazza Castello

 

 

 

 

image-1Dal 1578 ogni 4 maggio c’era l’ostensione della Sindone.


Nel 1612 Carlo Emanuele I donò i portici costruiti per il matrimonio del 1608 ai padroni delle case con l’impegno che avrebbero dovuto costruirci sopra due piani, secondo i disegni del Vitozzi. Chi non voleva adempiere all’ordinanza doveva vendere la proprietà al valore corrente.

Nel 1842 viene aggiunta la cancellata di Pelagio Pelagi fusa nell’officina Colla e Odetti allora in c. S.Maurizio 23.

Leggi: nel 1854 in piazza Castello il primo esperimento di carrozza a vapore



Giostre e Tornei cavallereschi
La piazza era lo scenario per i tornei medievali. Celebre quello del 1449 che vide in campo il cavaliere siciliano Giovanni di Bonifacio, contro Giovanni de Compey, signore di Torens. Dopo tre giorni d’assalti con mazza, daga e lancia, avrebbero dovuto vedere i due contendenti misurarsi con la spada, ma i giudici stabilirono la fine anticipata assegnando la vittoria a Compey.

Nel 169 la piazza ospitò uno splendido torneo organizzato in onore delle nozze di Vittorio Amedeo I con Cristina di Francia, futura Madama Reale.

La fucilazione dell’untore
Il 3 agosto 1630 un soldato della guardia, Francesco Giugulier, accusato di aver propagato la peste, viene archibugiato dal boia in piazza Castello. La situazione era tremenda, così decisero di sparargli direttamente su una catasta di cadaveri ammucchiati nella piazza, per poi dare fuoco al tutto. I parenti dei morti, però, lo prendono come uno spregio ai loro cari e si accende una disputa. Così, prima dell’esecuzione, viene sgombrata la piazza.

La Giostra
A inizio gennaio nel secolo XVII in piazza Castello si disputava una Giostra, chiamata anche corsa al facchino o corsa all’uomo armato. Veniva predisposto un gigante di legno armato di bastoni, montato su un perno. I cavalieri dovevano centrarlo in mezzo al petto, altrimenti la giostra girava colpendoli col bastone.

Le Gallerie
Nel 1497 fu costruita la galleria che collegava il Castello al palazzo del Vescovo poi abbattuta dai francesi.
La piazza in passato era divisa da due gallerie: la piccola che da palazzo Madama si allungava, a sud, verso palazzo San Germano. Conteneva la collezioni d’armi di Carlo Emanuele I e fu abbattuta nel XVII secolo. La grande eretta da Ascanio Vittozzi nel 1608 sui residui delle antica mura romane metteva in comunicazione le due residenze ducali, il Paradiso (che sarà poi palazzo Reale) e il Castello. Incendiata nel 1667, ricostruita dal Castellamonte era unita a palazzo Madama con il padiglione ad archi demolito poi dai francesi nel 1801. Rimase la parte adibita a Biblioteca e Armeria reale.

La Porta diventa Casaforte
Al tempo dei romani la porta Decumana era collocata nella parte posteriore dell’attuale palazzo Madama. Dopo l’XI secolo venne anche chiamata porta Fibellona perchè era stata occupata da Bellones de Turre e poi dai suoi figli “filii Belloni” da cui derivò il nome Fibellona.
Più tardi se ne impadronì Guglielmo VII che a ridosso della costruzione romana edificò la sua casaforte che ostruì il passaggio dell’antica porta romana. Così si aprì un altro passaggio, verso la strada di Po, difeso da un ponte levatoio.

La cacciata dei templari
Per la costruzione del castello di Porta Fibellona venne demolita la chiesa di San Se­vero, proprietà dei Templari in Torino. I cava­lieri crociati possedevano due chiese con ospizio per i viandanti ed i pellegrini, poco fuori della Porta Fibellona.
San Severo, la prima chiesa, sorgeva presso uno stagno chiamato la Piscina delle rane, sull'area dove ora c'è Pa­lazzo Carignano.
La seconda chiesa, Santa Margherita, sor­geva sull'attuale sito del Palazzo Carpano, all'angolo tra le vie Lagrange e Maria Vittoria.
La demolizione fu possibile perché l'Ordine Templare era stato abolito nel 1312 e tutti i suoi beni erano stati sequestrati e passati all'Ordine gemello dei cavalieri Gerosolimitani.

Il Castello salva i Savoia
Nel 1334 dopo la sconfitta nella battaglia di Tegerone, i vinti tenteranno un colpo di mano su Torino: il prevosto della cat­tedrale, Giovanni Zucca, con le più importanti famiglie guelfe (i Sili, i Testa e i Biscotti), organizzò una congiura.
Zucca, suonando a martello le campane del Duomo, doveva dare il via all'assalto delle case dei ghibellini fedeli ai Savoia (i Beccuti, i Borgesi e i Della Ro­vere).
Doveva poi aprire le porte della città a duecento cavalieri di Saluzzo e Monferrato, nascosti vicino alla chiesa della Madonna di Cam­pagna.
Ma nel giorno dell'attacco, il 12 dicembre 13349, i ghibellini avvertiti da un delatore si rifugiarono nel castello e da lì le guardie di Giacomo d'Acaia contrattaccarono, fa­cendo strage dei guelfi.
I cavalieri di Saluzzo arrivarono solo alle mura le mura della città riuscendo a salvare solo pochi superstiti in fuga, tra i quali Giovanni Zucca.
Senza il castello, la città sarebbe stata perduta per i Savoia e la storia del Piemonte, e forse dell'Italia, probabilmente sarebbe cambiata.

image-1Palazzo Madama
Dietro l’attuale facciata barocca, verso via Garibaldi, c’era in età romana la porta Decumana e le mura che circondavano la città. Nel XIII secolo accostata alla porta venna costruita una casa fortificata, centro di comando politico e militare. Per consentire il transito da e verso il Po venne aperta la Porta Fibellona, il cui lato occidentale sfruttava le strutture adiacenti all’antica porta romana, inserendosi in una breccia del muro romano (ancora visibile all’interno di Palazzo Madama).
Nel 1381 il palazzo ospitò la contesa tra Genova e Venezia con l’arbitrato del conte Verde.
Ludovico d’Acaja, nel 1408, acquistò dal vescovo il terreno che circondava il castello (per 880 fiorini a rate). Quel prato era sempre stato il campo di battaglia per chi voleva assalire il Castello, così il principe decise di fortificare la zona. L'atto definitivo fu steso il 22 ottobre 1415 e la vecchia carta, scritta in latino (perchè antece­dente al 1560, anno in cui Emanuele Filiberto ordinò che tutte le scritture da passare all'archivio fossero stese in italiano), documenta i rapporti del Vescovo, ossia dell'autorità ecclesiastica con l'autorità civile.

Il libro del cavaliere errante
Nel castello fu imprigionato il marchese di Saluzzo Tommaso III, sconfitto nel 1394 a Monasterolo di Sa­vigliano dal principe Amedeo d'Acaia. Durante i due anni della sua detenzione, Tommaso scrisse un'opera letteraria fanta­stica e simbolica, il "Lou livre du chevalier errant", i cui personaggi vennero poi effigiati nella sala baronale del castello della Manta presso Saluzzo.

Vedi le immagini di Palazzo Madama nel corso dei secoli

Vedi altre immagini di Palazzo Madama

Trattato di pace tra Genova e Venezia
In quello che allora era solo il Castello di Torino, nel 1381 venne firmato il trattato di pace tra Genova e Venezia (il Papa aveva scelto il l Duca di Savoia come arbitro tra le due repubbliche marinare), che metteva fine a quasi un secolo di conflitti, con la spartizione delle zone d'influenza nel Mediterraneo.

Il primo palazzo ducale
La fortezza degli Acaia sarà anche il primo palazzo du­cale che ospiterà Emanuele Filiberto dal 1562, quando deciderà di spostare la capitale da Chambéry a Torino.


image-1image-1Il complesso fu trasformato in fortezza e quindi, nei primi anni del Quattrocento, da Ludovico D’Acaja, in un grande castello con altre due torri verso oriente.
Nei sotterranei c’erano le segrete dove nel 1599 troviamo il napoletano Giovanni Marchetti, accusato di diffondere la peste “con empiastri introdotti a mezzo dei domestici”.

All’inizio del 600, generalmente a Carnevale, venivano allestiti per la corte, nella sala grande di palazzo Madama, spettacoli acquatici detti Piscatori. Veniva edificata una piscina in muratura e isolotti galleggianti in legno per musici e spettatori. Alla fine tutto veniva smontato e l’acqua scaricata nel fossato del Castello.
Cadde in disuso nel 1619, sostituita dai balletti acquatici sul Po.


image-1L’edificio assunse un nuovo ruolo nella storia cittadina quando le due Madame reali, Maria Cristina e Giovanna Battista, lo scelsero come dimora. La duchessa prima, reggente per il figlio Carlo Emanuele II, iniziò i lavori che trasformarono l’austera fortezza in uno degli edifici istituzionali più importanti della città. L’originario cortile fu convertito nel grande salone d’entrata dal Castellamonte, che lo coprì con una volta a crociera, ricavando al piano superiore una grande sala.
L’intervento fondamentale fu quello di Filippo Juvarra, che disegnò la sontuosa facciata verso via Garibaldi, addossata al corpo medievale, e lo scenografico scalone a due rampe che si riuniscono al piano nobile.


Durante l’assedio del 1706, il 12 luglio, una cannonata arrivò a circa dieci metri della garitta della sentinella la quale si gettò nel fosso che circondava il palazzo. Il soldato venne punito col carcere per aver abbandonato il suo posto.

image-1Il 20/1/1716 le campane suonano i rintocchi lenti dell’allarme per l’incendio che devasta una delle torri verso via Po anche per la mancanza d’acqua dovuta al gran freddo che aveva gelato la bialera che la portava in città.
Nel 700 all’ultimo piano abitava Benedetto Alfieri con il suo studio d’architetto.
Nel corso del periodo napoleonico il palazzo fu sede del governo provvisorio francese, anche se rischiò di essere demolito per ben due volte perchè individuato simbolo del potere reazionario, come la Bastiglia.

La facciata per ripicca
Nel contesto di una piazza uniforme, spicca la facciata dello Juvarra espressamente imposta da Maria Giovanna, la seconda Madama reale, nel 1718 perchè voleva che superasse in bellezza quella del palazzo reale, dove risiedeva il figlio, Vittorio Amedeo II, che l’aveva privata della reggenza.

Una donna salva il palazzo
Fu una donna a salvare il palazzo una prima volta: Anna De Gregori, che godeva di un forte ascendente sul generale Jourdan lo convinse a non ratificare l’ordine di demolizione emanato dal governo provvisorio. Fu quindi il cavalier Ferdinando Dal Pozzo che presentò un’istanza direttamente a Napoleone (allora primo console) il quale annullò l’approvazione di abbattimento già firmata dal nuovo governatore, il generale Jacques Francois Menou (ritratto qui a fianco) che lo aveva definito “una vecchia baracca”. Napoleone che gli rispose: “Sei tu una vecchia baracca mio caro Menou!”

 

 

 


 

image-1Studi: Dal «primo stabilimento» alla «riforma della Grand’Aula». I cantieri del Senato nel Palazzo Madama di Torino (.pdf)

Studi: Il Senato del Regno a Palazzo Madama: allestimenti, trasformazioni e arredi dal 1848 al 1864 (.pdf)




image-1image-1Il Crottone e la "Madama"
Le prime due compagnie del corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza vennero istituite (una a Torino, l'altra a Genova) l’11 luglio del 1852. Come sede, in città, venne scelto Palazzo Madama. Da questa collocazione derivò l'appellativo di «madama» per la Polizia.
Dal 1852 al 1862 il palazzo ospitò la Questura e, nei sotterranei, il carcere detto “Crottone”.

 

Primo Parlamento Subalpino
L’8 maggio del 1848 il palazzo visse una grande pagina di storia, con l’insediamento del Senato del primo Parlamento Subalpino.

Nel 1861 nel corpo di guardia tentò il suicidio, sparandosi un colpo di carabina, Domenico Cappa, il super poliziotto, per molti anni al servizio diretto di Cavour come guardia del corpo. Si riprese e venne adibito al servizio di protezione della Rosina.Era stato un grande detective: tra il 1865-67 la città era invasa dalle banconote false, al punto che nei negozi accettavano solo più le monete. Cappa risolse il caso con un’irruzione solitaria, a lume di candela, nel covo dei malviventi. Nel 1892 pubblicò le sue memorie.

Dal 1822 palazzo Madama fu sede dell’osservatorio astronomico a cura di Giovanni Plana che dall’Accademia delle Scienze (dove era stato fondato nel 1759) lo trasferì sulla sommità di una delle torri del palazzo. Nel 1912 venne spostato nella sede attuale a Pino.
Dal 1848, fino al ‘8 dicembre 1864, il palazzo ospitò il Senato costituzionale prima del Regno di Sardegna, poi dell’italia unificata. L’aula fu sacrificata per i lavori di restauro generali del 1927. In seguito ospitò fino al 1923, la Corte di Cassazione.

Il 29 marzo del 1849, subito dopo la sconfitta di Novara e l’abdicazione di Carlo Alberto, il nuovo re, Vittorio Emanuele II, giurò fedeltà alla Costituzione in Senato. Mentre saliva le scale di palazzo Madama per recarsi alla cerimonia cadde un rosone dalla volta sfiorando il generale Menabrea che camminava al suo fianco, strappandogli la spallina dell’uniforme. Scampato il pericolo il re si rivolse a Menabrea e in dialetto gli disse: ”Ch’ai fassa nen atension, j ‘na vedroma bin d’aotre!”. (“Non ci faccia caso, ne vedremo ben altre !”)
A fine 800 anche l’architetto Alessandro Antonelli si pronunciò a favore di un eventuale abbattimento che “avrebbe dato risalto, con una spianata erbosa, al palazzo Reale”.
Il palazzo è oggi sede del Museo Civico di Arte Antica.

La corda del pozzo
Il 29 novembre 1854 il vicebrigadiere Giovanni Giacchetto deve sequestrare dei giornali ma il giornalaio Claudio Rivolet oppone resistenza e viene arrestato davanti al caffè San Carlo. Rivolet durante il tragitto fino al Crottone (a palazzo Madama dove c’era la sede della Questura) viene malmenato e le percosse continuano anche in cella, utilizzando una corda munita di nodi. Il fatto suscita parecchie polemiche sui giornali e la polemica si protrae fino al marzo del 1855 quando, davanti al Tribunale Provinciale, una ex guardia rivela che le percosse erano una procedura abituale con i detenuti recalcitranti. Per calmarli si usava uno degli arnesi della “vecchia polizia” la corda del pozzo rinforzata con una serie di nodi. Per questo il vicebrigadiere Giovanni Giacchetto viene condannato a un mese di carcere, ma vengono anche multati i giornali (la “Gazzetta del Popolo” e il “Goffredo Mameli”) che hanno attaccato i metodi della polizia

Il capitano traditore
Nel carcere sito nella torre, nel 1587 fu rinchiuso il capitano Giuseppe Rubato accusato di aver avuto contatti segreti con la Francia per cedere Cuneo, Roccasparviera e Carmagnola. Fu condannato a morte trascinato al patibolo a coda di cavallo e decapitato.

Il futuro premier in prigione
Francesco Crispi, nel 1853, futuro primo ministro per due volte (1887/1891 e 1893/1896) fu imprigionato per circa un mese nelle segrete di palazzo Madama, in quanto coinvolto nelle cospirazioni mazziniane. Qui conobbe Rosalia Montmasson, savoiarda, aiutante stiratrice del carcere che si trasferì con lui in via Vanchiglia 11. Poi lo seguì a Malta dopo l’espulsione dove lo sposò con una cerimonia improvvisata. Più tardi, finita la miseria, Rosalia si diede all’alcol riempiendo la casa di animali, tra cui 12 pavoni che dormivano nella sua stanza. Crispi la lasciò per sposarsi con Lina Barbagallo e venir accusato di bigamia. Venne assolto perchè il vincolo maltese non risultava registrato.
Crispi che non era certo amico dei preti, durante il suo travagliato soggiorno torinese, abitava in via Vanchiglia, era poverissimo e più volte fu aiutato da Don Bosco.

 

 


La palla di mezzogiorno
Fino al 1848 il mezzogiorno e l’Ave Maria della sera venivano scanditi da un drappello di pifferi e tamburi che percorreva via Dora Grossa (Garibaldi).
Nell’800, a mezzogiorno una palla rossa arrivava al culmine di un’asta e allo scoccare esatto dell’ora ricadeva giù. Era uno spettacolo che attirava sempre curiosi, come il cambio della guardia.

La campana che non suona
A palazzo Madama, nella torre verso via Po, c’è una campana che non suona mai.
Fu Carlo Emanuele II di Savoia a commissionarla a Simone Giuseppe Boucheron il 6 maggio del 1670, per il castello che era già provvisto di orologio. Appena costruita venne installata nella torre di fronte a via Garibaldi, e, purtroppo, oscurata in un secondo momento con il rifacimento della facciata di Filippo Juvarra negli anni tra il 1716 ed il 1718. Cambiò tutto nel 1874 quando Carlo Alberto decise di far demolire l’orologio e vendere la campana che venne acquistata dal Pio Agodino, direttore a quell’epoca del Museo Civico.
Passarono altri sessant’anni prima che la campana fosse rimessa in funzione spostandola dove è ora. I suoi ultimi rintocchi risalgono al 2013 per i festeggiamenti dei 150 anni dell’unità nazionale.

Il mitico Unicorno
I Savoia sono sempre stati molto superstiziosi. La tradizione vuole che a palazzo Madama custodissero un corno prelevato dal mitico unicorno. L’amuleto considerato potente portafortuna venne trafugato dal generale francese Carlo Cossé de Brissac e proprio alla sua scomparsa venne imputata la morte prematura del piccolo Francesco Giacinto di Savoia, nel 1638.
Il dono dei milanesi
Il 10 aprile 1858 venne inaugurato il monumento all’Alfiere, donato dai patrioti milanesi, scolpito da Vincenzo Vela che usò come modello Giuseppe Morello , un giovane dell’oratorio di Don Bosco.

Gobetti, il velocista
Piero Gobetti (Torino, 1901 – Neuilly-sur-Seine,1926, giornalista, filosofo, editore, traduttore) era solito sfidare Carlo Levi (Torino, 1902 – Roma, 1975  scrittore, pittore, politico, tra i più significativi narratori del Novecento) e altri amici per vedere chi era il più veloce. Correvano intorno al palazzo Madama e, di solito, vinceva Gobetti.

Revolverate a Marino
Giovambattista Marino (1569-1625) nel 1608 era in città e con i suoi componimenti adulatori entrò nelle grazie del duca Carlo Emanuele. Nacque così una feroce rivalità col poeta Gaspare Murtola che scrisse accuse in versi di immoralità, sodomia e ateismo. Marino rispose con una composizione che sbeffeggiava il rivale: “della Murtoleide”. Questi se ne ebbe a male al punto di tentare di ucciderlo, lo attese all’imboccatura di via Dora Grossa (Garibaldi) dalla parte di piazza Castello dove gli sparò alcune rivolverate mentre si trovava in compagnia dell’amico Francesco Aurelio Braida. Un proiettile sfiorò il Marino, mentre il Braida venne colpito piuttosto gravemente. Sfuggito all’agguato Marino ottenne l’ambito posto di poeta di corte mentre Murtola incarcerato, fu graziato dopo non molto, per intercessione del nunzio pontificio, e dello stesso rivale. I ripetuti attacchi del Murtola ebbero comunque un effetto: proprio in quel 1609 l’Inquisizione aperse una pratica sul Marino. Nel 1611 fu di nuovo imprigionato con l’accusa di aver scritto componimenti satirici offensivi nei confronti del duca; ottenne poi la libertà e restò in città fino al 1615.

 

 

 

Secolo XVII: Una città alla francese, più libera di Firenze
Nel 1643 una ambasceria del Granduca di Toscana, diretta a Parigi, si fermò in città, e monsignor Corsi ed i suoi gentiluomini lasciarono ricordo delle loro impressioni sui torinesi.
Gli ambasciatori fiorentini ebbero l'onore di ossequiare la Duchessa Reggente, Madama Reale Cristina di Francia, che essendo un po' indisposta li ricevette, secondo l'uso, nella camera da letto, circondata da bellissime dame, vestite alla francese. Era il compleanno di Madama, così poterono assistere ad una festa in piazza del Castello : era stato costruito un alto monte, sul quale appariva un tempio rotondo dedicato a Venere ed a Cupido: sedici cavalieri uscirono a giostrare. A sera assistettero pure ad una festa a corte: vi era il fiore della nobiltà e della bellezza torinese; tutte le dame vestite alla francese, coperte di gioie e scoperto il seno.
Si ballò: il "brando", la "corrente", per piacere agli ospiti si ballò la "gagliarda" fiorentina, ma le dame di Torino non la conoscevano.
Dopo il ballo si servirono dolci, confetti, frutta candita. Altri balli ebbero luogo nei giorni seguenti: i Fiorentini osservarono che a Torino si godeva di una libertà più che francese.
Si stupirono dell'uso del baciare: uso francese. Anche la Duchessa era seccata di questa usanza che già il Bandello, un secolo prima, aveva osservato.
Al suo ambasciatore a Parigi Cristina spiegava che in Italia non costumavansi tali salutamenti ed avvertiva di non volere più che il Duca di Créqui pretendesse di salutarla così!
Ma la moda parigina dominava.

L’albero della Libertà
Nel 1798 in piazza Castello venne innalzato l’Albero della Libertà, simbolo della rivoluzione francese e del nuovo regime instaurato in città dai francesi.

image-1image-1Galileo Ferraris diventa Cavaliere
Il monumento a Galileo Ferraris, situato a fianco di palazzo Madama, è stato spostato nel corso omonimo e sostituito da quello dedicato ai Cavalieri d'Italia .

 



Diciotto Chilometri di portici
I primi portici risalgono al Medioevo, in piazza delle Erbe davanti al Municipio.
Nel 600 diventano componente importante della scenografia cittadina con la costruzione della piazza Castello, iniziando dal tratto compreso tra via Barbaroux e via Palazzo di Città, con progetto di Ascanio Vitozzi, quindi di piazza San Carlo (Amedeo di Castellamonte).
Durante gli assedi furono utilizzati per acquartierare i soldati e come rifugio degli abitanti delle zone più a rischio per le cannonate.
Nel 1756 Benedetto Alfieri riprende e attua il progetto dei nuovi portici sulla piazza Palazzo di Città.
Nell’800 altri spazi porticati si aggiungono a quelli esistenti: piazza Vittorio Emanuele I (ora Piazza Vittorio Veneto) ad opera dell’architetto Frizzi (1823), poi piazza Carlo Felice, G. Lombardi (1830) e Carlo Promis (1850), e infine piazza Statuto ad opera dell’ingegner Bollati (1864).
Con circa 18 chilometri di sviluppo, di cui 12,5 km continui e connessi, lastricati con stili diversi, dalla pietra grigia di via Po al marmo di via Roma, i portici torinesi sono un caso urbanistico, architettonico, estetico e socio-economico unico.
Il tratto di 2 chilometri di portici da palazzo Reale a piazza Vittorio Veneto, fu voluto espressamente da Vittorio Emanuele I per le sue passeggiate. In caso di pioggia, camminando sul lato sinistro della via, interamente coperto anche nelle traverse, i reali non si bagnavano.
Entrando sotto i portici a Porta Nuova si può raggiungere l’altra stazione, Porta Susa, senza mai uscire dai portici. Lo stesso dicasi da piazza Vittorio Veneto.

Carnevale
Ebbe il suo culmine tra il 1860 e il 1870 con feste che avevano il loro centro in piazza Castello.
La Fiera del Vino si teneva in piazza Castello, via Po e parte di piazza Vittorio dove venivano eretti anche quattordici balli a palchetto.
I giovani artisti fondarono un’associazione “Gran Bogo dell’Universo” che con l’”Accademia degli Uccelletti” dava vita a scherzi e trovate divertenti. Veniva anche organizzato uno spettacolo “Le Gianduieidi”.
Ci furono 6 edizioni la prima nel 1868, quindi 1869, 70, 73, 87 e 93. Nel 1886 si tenne in città il congresso delle maschere italiane.

L’Abbazia degli Stolti
Nel Medioevo oltre alla società di arti e mestieri, si crearono anche società di buontemponi. La più famosa fu l’abbazia degli Stolti, guidata da un abate e composta da monaci. Prosperarono anche la Compagni degli Asini, dei Folli, del Malgoverno, tutte particolarmente attive durante Carnevale.
Una delle usanze che contribuivano al finanziamento di questi gruppi era il Diritto di Taglia o di Barriera: chi sposava una forestiera o i vedovi che si risposavano dovevano pagare una gabella (abitualmente non doveva superare l’uno per cento della dote).
Chi si faceva percuotere dalla moglie veniva prelevato, messo a cavalcioni di un asino e portato in giro circondato dai “monaci” (soprattutto studenti) che soprassedevano allo sberleffo solo in cambio di un’adeguata contropartita.

Altra usanza era la Chiabra: chi si sposava in 2° o 3° nozze era messo su un asino per essere sbeffeggiato a meno che pagasse un pegno. Fu vietata nel 1343 ma era talmente radicata che continuò e nel 1699 si dovette emanare un editto specifico per proibirla.

image-1Via Roma
Quella che era contrada Nuova venne ribattezzata con il nome attuale il 29 marzo 1871 come atto significativo con cui si attribuiva il nome della nuova capitale alla strada più importante della città.
Nel 1914 ospitava 4 alberghi (Zecca, Nord, Cavallo Grigio e Verna) e 6 cinema (Ghersi, Vittoria, Borsa, Splendor, Minerva e Galleria Nazionale).

Ricostruzione: 1° tratto dal 18/5/1931 al 28/2/1933.
2° tratto fu aperto il 5/4/1937.
E’ interessante notare la diversa larghezza dei portici: m. 5.80 nel primo tratto, m. 6.40 nel secondo.
Il primo tratto, tra le piazze Castello e San Carlo, rifatto rispettò lo stile settecentesco precedente per saldarsi senza traumi ai palazzi di piazza Castello.
L’altro tronco, fu disegnato dal Marcello Piacentini, l’architetto del fascismo, con uno stile che pur richiamando i canoni del regime, risulta abbastanza neutro.

 

 

image-1image-1Una via pavimentata di legno e di marmo
La prima parte della ristrutturazione di via Roma fu attuata nel 1931 nel tratto tra piazza San Carlo a piazza Castello. La via venne modificata con edifici in stile eclettico e portici pavimentati da marmi policromi di esclusiva provenienza italiana.
Questa parte venne aperta al pubblico il 28 ottobre del 1933. Insolita, ma di grande effetto, fu la scelta di pavimentare il fondo stradale tratto con una sorta di pavé di cubetti in legno, che conferivano ulteriore pregio alla via.
Nel dopoguerra, a seguito dei danni causati dai bombardamenti, tale pavimentazione venne rimossa e sostituita da un'uniforme lastricatura in pietra.

 

 

 

image-1Leggi la monografia:
Mario Guarnieri racconta la “vecchia” via Roma all’inizio del ‘900

Leggi: il Referendum per via Roma nel 1907, la ricostruzione nel 1930

 

 

 

 

 

 

 

La morte dell’anarchico
L’anarchico Dezzani il 17/5/1915 venne ucciso in via Roma nel corso di una dimostrazione. Secondo la questura venne copito da un proiettile sparato dai dimostranti contro la cavalleria, impiegata per disperdere i dimostranti.


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