Vittorio Emanuele II e le donne


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image-1Vittorio Emanuele II

Raccontato dal suo scudiero ed amico Enrico Morozzo della Rocca

Quantunque non fosse superbo nè altezzoso, ed anzi piuttosto familiare con le persone del suo servizio, si mostrava gelosissimo della sua dignità personale e principesca, e con nessun uomo 1’avrebbe mai compromessa.

Con la donna per altro non credeva mai di abbassarsi, bastava che fosse giovane, bella, piacente, non facesse la ritrosa, e anche se popolana o contadina, per il momento egli se ne invaghiva perdutamente.

 

 

 


image-1Credo però di non sbagliare dicendo che in mezzo a quel via vai, a quella lanterna magica di belle donnine scelte su tutti i gradini della scala sociale, egli non fu mai ferito al cuore.
Il cuore suo, e ciò parrà strano benché sia verissimo, 1’ aveva dato tutto alla moglie, Maria Adelaide e non glielo tolse mai.
A lei la fiducia illimitata, l’ammirazione rispettosa e appassionata, a lei tutta la sua tenerezza, tanto che non ne rimase più per nessuna, nemmeno per quella che durante parecchi anni fu, più ancora della Duchessa, compagna della sua vita, madre di altri figliuoli, e che in ultimo egli sposò morganaticamente.

A Maria Adelaide serbò sempre il meglio di sè, senza farsi valere per quel che non era. Con lei non ebbe segreti; certamente non diceva tutto, ma soltanto perché quel tutto sarebbe stato una lunga, forse monotona, certo sconveniente litania per le caste orecchie di lei. Il molto che Maria Adelaide seppe, lo perdonò, persino lo giustificò: mistero di suprema indole di bontà, certo non facile a intendere e neppure a immaginare da chi non si è trovato, come me, tra le due esistenze di Vittorio Emanuele: quella della reggia e quella di fuori.
La sola persona che avrebbe avuto il diritto di condannarlo se ne astenne, ed oso dire che fece bene dando cosi prova di tatto finissimo, di perfetta conoscenza dell’indole di suo marito e delle esigenze affatto eccezionali della sua ardentissima natura.

image-1image-1Per parte mia (senza erigermi a mentore del Duca prima che si sposasse, e tanto meno dopo) mi provavo di trattenerlo in certi slanci inopportuni.
I tredici anni che avevo più di lui e l’affettuosa familiarità con la quale mi trattava, mi permettevano di parlargli con tono di franchezza autorevole.


Debbo pero dire che, quantunque io non volessi farmi guida responsabile degli atti del Duca, non tardai molto a capire e a sentire che nella Famiglia reale ciascuno mi attribuiva una parte di responsabilità nelle sue azioni, come se io avessi dovuto o potuto dirigerlo e farlo piegare a mia volontà.

 

 


image-1image-1Di ciò mi accorgevo in mille modi. Lo sentivo nelle parole agrodolci della Regina madre: — Mais, monsieur de La Rocca, pourquoi n’avez-vous donc pas remené Victor plus tòt? (Ma, signor La Rocca, perché non ha condotto Vittorio prima?) E questo quando per caso eravamo tornati con cinque minuti di ritardo all’ora della colazione o del pranzo, e non per altro che per forza maggiore, come la caduta di un cavallo, la rottura della carrozza: circostanze che Carlo Alberto non ammetteva e per le quali mandava subito il Duca agli arresti, quando anche, come accadde una volta, arrivasse con un braccio al collo.
Lo sentivo agli sguardi dolci e supplichevoli della Duchessa di Savoia, alle sue parole: — Monsieur de La Rocca, je vous en prie, ne laissez pas passer Victor
à chevai dans le torrent Sangone, ou dans la Polcevera, le courant pourrait l'emporter (Monsieur de La Rocca, per favore non lasciare passare Victor a cavallo nel torrente Sangone (quando eravamo a Stupinigi), o nel Polcevera (quando eravamo a Genova), la corrente potrebbe prevalere).

image-1Lo leggevo nelle occhiatacce che Carlo Alberto mi lanciava anche prima di aver guardato il figlio; e perciò badavo per quanto m’era possibile che nessun inconveniente accadesse.
Ero esattissimo non soltanto per indole militare, ma anche per ferma volontà; prevedevo, davo ordini precisi al seguito di caccia e alle scuderie: ma tutti sanno, e Caldo Alberto solo non voleva saperne, che vi sono accidenti imprevedibili, i quali vengono a ritardare il cammino a chi deve adoperare altri mezzi di trasporto che non siano le proprie gambe.
Quanto poi a non lasciar che il Duca passasse a guado i torrenti, nè saltasse pericolosi ostacoli, avevo sempre cercato di farlo : ma allorché non mi vedevo ascoltato, e dopo le raccomandazioni avute, mi provai a guisa di protesta a girare sotto gli occhi suoi gli ostacoli, mentre egli li saltava, e a passare sul ponte tutte le volte ch’egli voleva scendere nell’acqua, bene inteso, quando pericolo non v’era.

Come tutti i giovani audaci e particolarmente i Principi, che si credono in obbligo di avere o di mostrar coraggio doppio degli altri, egli era molto spesso imprudente o spavaldo; godeva nel far cose pericolose, fuori del comune, per darsi importanza, quando non fosse altro, agli occhi dei cacciatori e del seguito e per poterle poi raccontare tornando a Racconigi o a Torino.
Era perciò degnissimo figlioccio di Vittorio Emanuele I! Con l’andar del tempo riuscii se non sempre, almeno sovente, a farmi dar retta; egli mi ubbidiva, cedeva, dicendo: «Là, i veui nen ch’a sia cria an causa mia ».

 

image-1Dal punto di vista della morale poi la cosa era più difficile; egli ammetteva poco il ragionamento. Come dissi, era molto scettico rispetto alla virtù delle donne; ed erano tante quelle che fornivano argomenti in prova del suo scetticismo, che davvero sarebbe stato, tempo e fiato sprecato volerlo ricondurre in carreggiata con le parole; i fatti ogni giorno le smentivano.
Perciò adottai i medesimi espedienti: di girare, cioè, gli ostacoli allontanandomi senza però perderlo di vista, e credo d’essere riuscito più di una volta a salvarlo da qualche mal passo, o a distoglierlo da qualche imprudente proposito.
Durante il periodo dal 1842 al 1848 lasciai il Duca soltanto due volte, o tre per recarmi a passare qualche settimana a Courmayeur o a Aix les Bains e rivedere i miei cari monti e alcuni conoscenti ed amici della Savoia.


 


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