Quartiere Vallette


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image-1Nella periferia nord-ovest di Torino, la sua storia è legata a quella del vicino borgo Lucento.
Qui, fin dal tardo Medioevo, c'era la villa della famiglia patrizia di origine romana dei d'Aviglia che si trovava sull'antica strada ad Valletas che probabilmente indicava avvallamento del territorio più a occidente, per il quale la cascina venne quindi chiamata Ad Valletas di Aviglio.
Successivamente la cascina divenne un rudere, e fu quindi sostituita da un'altra cascina nel 1634, ribattezzata semplicemente Le Vallette, e ancor oggi esistente in Via dei Ciclamini 5.

Così pure per "Vallino", ai piedi del cavalcavia di corso Sommeiller, dal piemontese per "palude, acquitrino", come era in antico la zona (quando a metà '800 vi venne costruita la ferrovia, si dovette consolidare il terreno con terra di riporto).

image-1Tutta la zona poi, rimase prettamente rurale per lunghissimo tempo, come prolungamento della stessa tenuta sabauda di Lucento: testimoni di questo periodo i ruderi della Grangia di Giacomo Ferroglio, meglio conosciuta come Cascina Bianco, i cui resti sono ancor oggi presenti tra i giardini di via Parenzo e Corso Cincinnato, oltre che i ruderi della Cascina Mineur, il Cascinotto e le antiche abitazioni di Tetti Basse di Dora.

 

 

 



image-1Tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta del XX secolo, iniziò a delinearsi il profilo urbano di quartiere operaio, sotto la spinta della grande migrazione dal meridione.
Il piano urbanistico fu elaborato nel 1957 dall'ing. Gino Levi-Montalcini, insieme agli architetti Nello Renacco, Aldo Rizzotti, Gianfranco Fasana, Nicola Grassi e Amilcare Raineri.
I lavori iniziarono nel 1958, le prime case furono consegnate nel novembre 1961, mentre le ultime abitazioni vennero consegnate nel 1968, per ritardi nelle costruzioni e vari intoppi burocratici.

 

 

Fu uno dei principali esempi dei piani previsti nel secondo settennato dell'INA-Casa. Coordinato dalla Commissione per l'Edilizia Popolare (CEP) ed appaltato dall'Istituto Autonomo per le Case Popolari (IACP), l'intervento previde la realizzazione di 16.500 vani su una superficie di 71 ettari, divisa in 12 lotti, su cui si alternarono blocchi residenziali a spazi per servizi e verde pubblico, per un totale di ventimila abitanti previsti a regime.

 Il complesso edificato presentò eterogeneità tra i vari lotti, dalle case a schiera di sei-sette piani tra corso Ferrara e via delle Pervinche (Gino Levi-Montalcini, Felice Bardelli, Carlo Angelo Ceresa, Domenico Morelli, Mario Passanti, F. Vaudetti) a quelle con ampie corti interne e tetti a falde sporgenti nella zona tra via delle Primule e viale dei Mughetti (Augusto Cavallari Murat, Roberto Gabetti, Aimaro Isola, Giorgio Raineri).

La scelta di una zona lontana dal centro ed ai confini della città sollevò molte polemiche ed opinioni contrastanti in Consiglio comunale, con molti che videro nel neonato quartiere l'occasione per le ipotesi di segregazione sociale, ghettizzazione, alienazione ed estraneità delle popolazioni allora migranti in città.

 


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