I lavandai su Po
Fino al 1935 le sponde del Po biancheggiavano dei panni stesi ad asciugare dai lavandai che si occupavano
di ripulire la biancheria di buona parte della città. La zona dove ferveva maggiormente questa attività era la regione Bertolla.
I lavandai di Bertolla
Agli inizi del 900 la regione Bertolla contava circa 5000 abitanti, non tutti lavandai, perché circa quattro quinti della popolazione erano composti di agricoltori e più ancora di operai.
La categoria dei Iavandai era costituita da due centinaia di famiglie con circa un migliaio di persone che si tramandavano la tradizione di questo mestiere. Difficilmente i giovani contraevano matrimoni fuori del loro ambiente. I capi di famiglia ultrasettantenni, erano veri e propri patriarchi: Vincenzo Martinengo, Antonio Bertinetti, Domenico Rongiovanni, forti e robusti malgrado il logorio fisico del lungo lavoro, non certo regolato dalla prescrizione delle otto ore.
Il Iavandaio, infatti, non limitava la sua attività al mestiere principale, era anche agricoltore e coltivava la sua terra traendone cereali, ortaglie e foraggi. Inoltre realizza grandi reticolati di pali e funicelle per sfruttare l’aria ed il sole, ai quali affida la biancheria lavata per asciugarla e renderla candida come la neve.
Ma certo la maggior fatica è quella della lavanderia, che richiede un lavoro quasi continuo per buona parte della settimana.
La colonna dei carri.
Se il lavandaio ha goduto il riposo domenicale, lo sconta però subito nella notte che precede il lunedì.
È necessario preparare la biancheria pulita per la restituzione alla clientela. Sono cento, duecento ed anche più famiglie della città, a seconda della potenzialità del lavandaio, che attendono il bucato. Alle 3, alle 4 del mattino, a Bertolla già si inizia il lavoro febbrile. Poco dopo partono i carri carichi, che sfilano come tanti fantasmi nelle ultime tenebre notturne.
C’è una sola strada per andare in città, quindi i singoli lavandai, che sanno apprezzare l’economia del tempo, non sono lenti nella partenza per assicurarsi uno dei primi posti in mezzo alla lunga colonna di veicoli.
C’è una difficoltà da superare: la barriera daziaria. Qui ogni carro è perquisito dagli agenti: in mezzo alla biancheria potrebbero esservi generi soggetti a dazio. Un buon pretesto per frodare l’erario municipale, così l’agente, scrupoloso del suo dovere, può, in esecuzione dei regolamenti e senza alcuna intenzione di nuocere, costringere i lavandai ad un non lieve ritardo.
La colonna dei carri in attesa, certe volte, occupava tutto lo stradale dalla cinta daziaria alla borgata Barca. Vi fu un tempo' che ciò avveniva ogni lunedì, ma l’assessore di quel tempo, Bona, preoccupato dalle gravi conseguenze, provvide che al lunedì il numero degli agenti di quella barriera fosse aumentato. Fu bene. Le cose andarono più spiccie. Ed anche le lagnanze finirono.
Oltrepassata la barriera, la Iunga teoria dei carri si rompe. I lavandai sciamano verso i diversi punti della città, consegnano a ciascuna famiglia, la biancheria pulita e ricevono quella sporca. È un lavoro che richiede quasi tutta la giornata. Verso sera ritornano a Bertolla.
Il bucato e i segni della vita.
Appena giunti a casa, i Iavandai scaricano il loro carro e tutti i membri della famiglia iniziano il primo, indispensabile lavoro, per il riconoscimento degli oggetti di ciascun cliente. Donne e uomini marcano la biancheria, e questa operazione dura magari tutta la notte
Al mattino del martedì si prepara il bucato, si mette la biancheria a bagno, si insapona, si diluisce la liscivia nella caldaia, si dispongono gli oggetti nelle apposite tinozze in muratura, Giunge così la tarda sera. Mentre una parte della famiglia va dormire, l'altra veglia e continua a versare la lisciva nelle tinozze, lavoro questo che dura dalle otto alle nove ore.
AlI'una dopo mezzanotte del mercoledì già si inizia la lavatura degli oggetti nel lavatoio esterno: operazione faticosa, ma non breve. Si va così da una mezzanotte all’altra, con brevi intervalli di riposo.
Giunge il giovedì e si deve provvedere a sciorinare al sole la biancheria lavata. Questo il momento più pittoresco della regione, migliaia di lenzuoli, di camicie, di fazzoletti, di oggetti di biancherta intima, dai più ricchi merletti, trine, ricami, lini finissimi, alla più rozza tela, ai più miseri stracci, sparsi in una libera promiscuità, sfoggiano il loro candore all’aria, al sole.
Il lavoro continua con la sorveglianza e la cura della biancheria stesa ad asciugare. Appena asciutti, gli oggetti devono essere raccolti, piegati, divisi, controllati, in modo da acquistare la certezza che ogni cliente abbia il suo.
Poi bisogna pensare alle altre esigenze dell’azienda e della famiglia. Giunge così la domenica. Solo allora il lavandaio può permettersi qualche svago e qualche bicchiere di vino in più.
In conclusione si calcola che in media il lavandaio, tutto compreso, non lavori meno di 16 ore al giorno.
L'attività dei lavandai durò fino alla metà degli anni 30 del 900, quando un'ordinanza comunale la proibì, per motivi di decoro, nel tratto urbano del fiume.
Vedi le immagini dei lavandai sul Po agli inizi del 900