Atlante di Torino

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image-1LE ANTICHE CORSE DEL PALIO A TORINO

Origini e usanze

La consuetudine di correre il palio venne avviata sul principio del secolo decimosettimo, forse per riprendere un’usanza ancora più antica.

Già da tempo remotissimo, il giorno di San Giovanni, si teneva la Balloyra con le corse dei buoi.

Le vere corse di cavalli iniziarono nel 1622 in occasione del 37° anniversario della na­scita di Vittorio Amedeo I, nato l’8 di maggio del 1585, e per impulso del cardinale Maurizio di Savoia.
Il 7 maggio di quell’anno, il duca di Savoia Carlo Emanuele I faceva chiamare i sindaci della città Georgis e Ferreri alla vigna del cardinale Maurizio, che espresse il desiderio che l’indomani, ricorrendo la na­tività del serenissimo Principe «si facessero le corse come si fa in Asti il giorno della festa (di S. Secondo), e S. A. vorrebbe ciò si introducesse a fare in questa città et si cominciasse dimani per detta festa».


image-1La città veniva così indirettamente pregata a volerne fare le spese, il che garbava poco ai sindaci, a cui eran note le condizioni tutt’altro che prospere della finanza municipale.
La preghiera appariva però come un comando ed il Consiglio ordinava al tesoriere Bartolomeo Ferrero, di provvedere il primo premio che consisteva in dodici rasi di velluto liscio cremisito.
Ordinava pure quattro altri premi, che per la loro sin­golarità meritano di essere conosciuti: «una borsa fornita con suoi cordoni, bottoncini di seta oro et argento, di color argentino; un paio di speroni d’oro; una gabbia et gallo vivo per mettervi dentro».
L’acquisto dei premi non poteva mandar alla malora il provvido Consiglio, il quale all’ultimo arrivato dei ca­valli regalava per premio un’acciuga»!
Di qui venne l’origine del proverbio: a l’ultim l’ancioa, proverbio che restò nel­l’uso comune, e si grida a chi arriva ultimo ad una meta.

Improvvisate così le corse, il Comune deputava a giu­dici del palio il vicario della Città, Capris, il giudice Caccia, i signori Sindaci ed i consiglieri Nazero e Ranotto, i quali — secondo le istruzioni avute — alcune ore prima che le corse avessero inizio si dovevano portare insieme al segretario della Città sulla piazza dell’Erbe, ove si sarebbe collocata una tavola coperta da un tappeto ed alquante sedie.
Quindi, fatti venir innanzi i cavalli presentati per le corse, ne dovevano descrivere su apposito documento il nome e la qualità del pelo, notando anche le più leggere distinzioni, e parimenti prender nota del nome, cognome e statura dei paggi cui toccava montarli, non acconsentendo loro lo staffile eccedente i sette palmi di lunghezza, compreso il manico.
Giunta l’ora diciannovesima, ossia le nostre ore 15, il corteo si sarebbe avviato dal palazzo di Città alla villa del cardinale Maurizio, ove si correva il palio.
image-1Precedevano le trombe della Città insieme ai garzoni coi premi, quindi veniva la Commissione giudicatrice, poi seguivano i cavalli destinati alla corsa condotti a mano ed addobbati a vari colori con penne e nastri, quindi i paggi inforcando cavalli da sella comuni.
Arrivati alla vigna, la Commissione doveva prendere posto sul palco eretto appositamente, ove si sarebbero collocati in mostra i premi, e quindi dove­vano sfilar di nuovo cavalli e paggi, i quali ultimi, passando davanti al Giurì, pronunziavano ad alta voce il nome del padrone.

 


image-1De­strieri e fantini venivano quindi condotti al borgo Po, presso la chiesa di sant’Antonio, dove si doveva cominciare la corsa.
Il segretario della Città seguiva i cavalli fino al punto di partenza, dove i paggi si giocavano ai dadi le posizioni iniziali.
Messi tutti in linea si tirava una corda, la quale doveva cadere all’ultimo squillo di tromba.

Le corse erano due: una dal borgo alla villa, l’altra dalla villa al borgo. Durante l’intervallo tra la prima e la seconda i messi della città dovevano controllare la pista ad avvertire che nessuno attraversasse «sotto pena di scudi cinquanta o tre tratti di corda o altra arbitraria a Sua Altezza».



image-1Osservate queste istruzioni, ebbero inizio le corse, che per la novità e l’im­portanza avevano attirati tutti i torinesi fuori di porta.
Notiamo che allora per borgo Po s’intendeva la lunga costa che da Porta Fibellona o Castello si avanzava fino all’antico ponte sul Po. La chiesa di S. Antonio venne edi­ficata nel 1620 circa sull’angolo dell’ultima isola di via Po a sinistra, poco oltre la chiesa dell’Annunziata. Le corse dunque movevano dal punto in cui ora finisce la via e co­mincia la piazza Vittorio Emanuele.
A quel primo esperimento di corse presero parte nove cavalli, cioè quello del duca Carlo Emanuele, mon­tato dal cavallerizzo di corte, Gio. Francesco Grifone, del principe Vittorio Amedeo I, montato dal conte e barone Perone, del cardinale principe Maurizio, cavalcato dal signor Rodomonte Civerolio dAsti, del principe Alessandro di Modena per mezzo del suddetto Grifone, dell’Economo Don Emanuele di Savoia, montato da Gio. Matteo Gallizio, del marchese di Rivarolo, tenuto dal signor Gio. Michele Ferraris, del conte Arduino Valperga, condotto dal signor Gio. Antonio Bonisano, del conte Taffino Veedore, montato da monssù Sebastiano Lod. Verardo, di «monssù Fiori gran veneur di S. A. condotto dal signor Rinaldo Peranghino. »
image-1Si vede che allora l’aristocrazia e la Corte coltivavano assai le razze caval­line, dal momento che in poche ore si poterono trovare ben nove stalloni pronti per la corsa in una città di non molte migliaia di abitanti.
La prova non fu fortunata, perchè non si ebbe nè ordine d’arrivo nè risultato, quantunque primo alla meta giungesse il cavallo del cardinale Maurizio. Il Duca volle si ripetesse la corsa il secondo giorno di Pen­tecoste, che fu il 16 di maggio. Alla partenza dei ca­valli assistette il principe Vittorio, ed allora l’esito fu brillante, e il palio toccò di nuovo al cavallo del Cardinale.
L’iniziativa piacque parecchio perchè venne riproposta negli anni successivi, con molto interesse nei Consiglieri di favorirle e con viva curiosità nel pubblico di assistervi. Anche nell’anno 1629, quando il contagio della peste mieteva già abbondantemente le sue vittime, si mantennero le corse, tralasciate solo negli anni funestissimi 1630-31, vennero poi ri­prese nel 1632.
Per molti anni continuarono a farsi all’8 di maggio, e il percorso era quello tra la chiesa di S. Antonio e la villa del Principe Car­dinale (l’attuale Villa della Regina) nella regione Monveglio.
image-1Era denominata regione Monveglio la parte del territorio in collina, che si stende a levante del Borgo Po (limitata però alla parte inferiore della collina), compresa fra la strada della val San Martino e la strada della villa Regina, vale a dire la parte del colle su cui si trovano le ville poste lungo la strada di Santa Margherita, cominciando dalla villa Regina.
La città provvedeva i premi, che per molti anni furono sempre gli stessi.
Di ritorno dalle corse, i paggi montando i cavalli vin­citori e seguiti dal giurì e dal popolo, attraversavano trionfanti la città tra le acclamazioni del pubblico, e an­davano fino al palazzo comunale.
A queste corse tuttavia non partecipavano che destrieri di proprietà di prestigiose famiglie, e raramente ci furono dei concorrenti d’altre città. I premi non al­lettavano certo i proprietari a disputarsi il palio.

In città si organizzavano corse in occasione delle nascite e dei matrimoni dei principi, per le visite di sovrani, nelle feste del SS. Sudario, di S. Giovanni, di S. Secondo, ecc.; la città qualche volta mandava uno o due cavalli a correre il palio di Asti od altrove.
Nel 1688 il Consiglio faceva rispondere al Comune d’Asti, che lo aveva invitato a prender parte con un cavallo proprio alle corse, di non poter accogliere l’invito, ma però «si riservava di go­dere di tal favore in altro tempo».
Per le fazioni politiche e le vicende guerresche della reggenza di Madama Reale Cristina di Francia, le corse furono sospese per qualche anno. Nel 1674 il marchese di San Germano a nome del Duca Carlo Emanuele II esternava al Sindaco di Torino il volere che alla ricorrenza del genetliaco di Madama Reale Maria Giovanna Battista si corresse il palio «come già altre volte si faceva» e la Città mandasse un cavallo a concorrere al premio.

image-1Il Comune a questi voleri nicchiava un po’, ma il Duca precisava «la sua precisa mente e volere» che la Città provvedesse un cavallo e vestisse il garzone che doveva montarlo di «zendalo color di foco».
Biso­gnava compiacersi di obbedire, e il Consiglio ordinava di trovare un cavallo in prestito, o in af­fìtto « e faceva avvertire il Duca di aver eseguito la sua volontà, e lo supplicava nel frattempo a voler, nella distribuzione dei posti, collocare il cavallo della Città dopo quelli appartenenti ai principi del sangue. E il Duca stabiliva che i cavalli fossero così disposti: quello del Duca — di Madama Reale — del Prin­cipe — della Principessa — del Principe di Carignano — del sig. D. Gabriel — della Città — del marchese di S. Germano — di monsù Gonteri».
Il percorso era stabilito dalla Porta Nuova a Piazza Castello, ed i cavalli dovevano passare din­nanzi al palazzo ducale prima di andarsi a far iscrivere al Municipio, d’onde per la via Doragrossa ritornavano nella piazza. Questa volta l’atto dell’iscrizione fu assai dettagliato: si presero note dei cavalli, nome, età, pelo e contrassegni, e delle vesti dei fantini. La Città aveva trovato un cavallo bianco, e lo aveva ornato con penne bianche e gialle e gualdrappa rossa. Il fantino, Gio. Battista Carbonelli, vestiva di scarlatto.
Quando i principi giunsero in piazza Castello, si spararono due pezzi di cannoni, a cui rispose un colpo da Porta Nuova: era il segno della partenza. Vinse il primo premio il cavallo della Città.

 

image-1Durante il regno di Vittorio Amedeo II, le corse an­nuali furono tralasciate e non più riprese. Si correva an­cora talvolta, ma solo in occasione di feste straordinarie. Nel 1624 cominciarono le corse dei barcaiuoli, o regate. Di ritorno dalle corse dei cavalli, la famiglia ducale, con le autorità, si fermava sul ponte di Po per assistere alla gara dei barcaiuoli.
Per premio la Città comprava «quat­tro pali inarborati tutti di seda di diversi colori, dalla Università degli ebrei di Torino «e li faceva portare su altrettante aste dipinte».

 


image-1Nel 1626 la regata non ebbe luogo perché le corse dei cavalli erano andate troppo per le lunghe e cominciava ad annottare.
Il 16 di agosto del 1812 ebbero luogo le corse dei cavalli in onore dell’ono­mastico dell’imperatore Napoleone I; come pista fu scelta la via Doragrossa. Lo spazio da percorrersi era di 2500 metri. Vi era un pubblico affollatissimo: cinquan­tamila persone, dice un cronista. La Corte Imperiale vi assisteva dal Palazzo Madama.
Le corse dei cavalli ritornarono di moda verso la metà dell’800 e per molti anni divennero un’attrattiva ed un scelto divertimento dell’alta società torinese, poi furono abbandonate.


image-1Ora, nel 1883, da alcuni anni ripigliate, accennano a diventare una bella istituzione, emula delle migliori d’Italia, e formano uno spasso per le famiglie ricche, un incorag­giamento per l’allevamento delle razze equine, ed un di­vertimento graditissimo al popolo.

 

 


Pio Terenzio Doei
Tratto dall'”Almanacco di Torino” del 1883


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